Ines Marone si presenta sulla scena letteraria con una silloge che esprime tutto il bagaglio esistenziale; ma soprattutto quello delle memorie a cui resta aggrappata come un urlo alle pareti delle rocce. Il memoriale è un po’ il rendiconto di una vita, l’insieme di fatti e accadimenti che l’hanno costellata, e che poi la richiamano quasi come a prolungarla soprattutto con quelle vertigini che hanno costituito il cuore dei giorni. L’incanto della memoria è il titolo del libro; due le sezioni: “Nuove poesie” e “Altre poesie”. Ibi omnia sunt: il sapore dei giorni, il cuore del canto, l’amore per tutto ciò che ha motivato l’esistere. E tutto scorre con fluidità, con leggerezza empatica, con euritmica scansione, con callidae iuncturae, che dànno l’idea della frequenza letteraria, del patrimonio linguistico, della icasticità verbale, e soprattutto della spontaneità espressiva. Le parole si rincorrono le une le altre per dare sfogo ad un animo che chiede reificazione del pathos, della energia emotiva. Una poesia fortemente intimistica, un vero melologo, dove parola e sentimento si amalgamano per dare fiato al canto. A quella parte che nasconde gli anfratti più segreti di un’anima e che chiede libertà e autonomia del vivere; dell’esser-ci in questo mondo che si presenta come un ardito viaggio tra tempeste e scogli dove non è raro perdere la bussola e trovarsi sperduti in un mare aperto e senza confini. Ma la Nostra sa remare e a costo di infrangersi contro quegli scogli va diritta verso l’isola della quietudine, sapendo che quell’isola la accoglierà tra le braccia dopo tanta difficile navigazione. La sua barca è piena di fonemi, lessemi, che possono aiutarla ad esprimere tutto il patema: il mare, gli orizzonti, la sabbia, il cielo, i tramonti: “Andai sulla spiaggia un giorno / prima del tramonto, / ma il mare era scontroso / e mi assordò con la sua voce. / Arrischiai qualche passo / sulla lucida battigia / là dove la madida sabbia / fa da specchio al cielo, / ma l’onda lunga / mi avvinghiò le caviglie / e mi fece sentire / la sua liquida forza. / Fuggii allora sulla terra asciutta / e lo sfidai da lontano, al sicuro, / finché le nubi soffocarono il sole. / Ma ancora il mare mi raggiunse / col suo alito freddo” (Andai sulla spiaggia).
Nazario Pardini
Si avverte nello scorrere dei suoi versi, un sentimento di continuità, evidenziato dal bisogno dell’Autrice di confrontarsi con il diverso suo porsi nel viaggio del tempo alla ricerca di un senso di equilibrio ed armonia che a volte è travaglio, ma a volte pura felicità. Si palesa inoltre, ne “L’incanto della Memoria”, una sorta di bilancio poetico/esistenziale che la Marone compie di fronte alla propria creazione artistica. Il lettore sufficientemente attento, è indotto per questo a riflettere sul significato che la Poesia assume, non solo per chi la legge e l’apprezza, ma per il poeta stesso che la sente e la crea nelle diverse età della sua vita. In tal senso ritengo di poter considerare la poesia della Marone, in cui la memoria e la ricerca dell’armonia hanno tanta parte, come storia di un’anima. La narrazione sintetica di chi, osservandosi e ri-cercandosi, traccia la sua storia interiore. Anche il verseggiare in questa poetessa risente della tipica atmosfera evocativa del racconto, accentuata dal frequente avvalersi del passato remoto : “Andai sulla spiaggia un giorno / prima del tramonto,… / Arrischiai qualche passo / sulla lucida battigia /…/ mi avvinghiò le caviglie / e mi fece sentire / la sua liquida forza” (Andai sulla spiaggia) o dall’utilizzo, come si legge in tanta narrativa moderna, di uno splendido tempo presente che attualizza l’azione narrata quasi a stendere una cronaca dell’accaduto: “Approdo dopo molti passi/a questo bar di fronte al Colosseo. / Contemplo esausta quelle antiche pietre…” (Appunti di Viaggio – Roma).
Anna Castrucci
Di questa poetessa mi pare siano apprezzabili in modo particolare le ambientazioni, le atmosfere che sa creare con maestria, coinvolgendo il lettore nel suo mondo, toccando le corde della nostalgia e dell’emotività. Se visitiamo alcuni testi ciò balza subito in evidenza, e qui procediamo per esemplificazioni. Vi è il piacere di ritrovare nella propria borsetta un biglietto, ricordo di una serata a teatro o di una festa, trascorrendo alcune ore serene in amicizia (La presenza delle piccole cose); vi sono Le piccole gioie che, come un sassolino gettato nell’acqua, creano un cerchio crescente, sempre più grande; vi è la descrizione di una notte d’inverno, dopo la pioggia, quando “le vecchie case taciturne / avvolte dal silenzio / sembrano avere un’anima” e la poetessa osserva dalla finestra dove forse anche lui fece altrettanto guardando le strade deserte (Notte d’inverno); la rievocazione di un’atmosfera novembrina dominata dal vento che sbatte i rami del platano, del noce e dell’acacia in giardino, ma poi si placa nella luce del mattino, e qui tocchi di natura s’innestano ad arricchire il paesaggio (San Martino); i ricordi dell’adolescenza tumultuano nella suggestiva Le scalinate di Blevio, dove la poetessa canta il suo paese, la chiesa in riva al lago, gli abitanti “forti e schivi”, i pescatori, le barche e le gite, e “le discese in centinaia di gradini / percorsi in fretta per raggiungere il pontile / e non perdere l’ultimo battello”; anche una Balaustra sul lago è occasione di rimembranze: i particolari diventano immagini quasi sonore, come i pini, la ghiaia, le colonnine ad anfora, i gerani rossi… e lui che rideva e parlava; la sorpresa di un giardino nascosto tra i palazzi della città, risentendo voci di amici lontani, la madre che cantava: ricordi che vuole scacciare perché pungenti, ora che vive tra asfalto e cemento (Giardino a Milano); la città si ferma: “s’acquieta il brulichio / fa sosta nei locali / e nei caffè delle tovaglie a fiori”, poi lo sguardo volge a settentrione dove le Alpi imbiancate scintillano altre nostalgie (Primavera a Porta Venezia); giunge il tempo de La fiera campionaria a Milano e la madre prepara con cura la casa per gli ospiti che dovranno arrivare, e sono “il merletto di Bruges” o “la bianca tovaglia di tulle” o gli argenti e le tende al centro della poesia d’ambiente. … Vi è dunque la ricomparsa di un “piccolo mondo antico” che va tramontando, ma che rimane abbarbicato, tenace come un’edera, nella memoria, nell’anima, nel cuore della poetessa.
Enzo Concardi
La tendenza alla contemplazione, la squisita umanità, la compassione, le ritroviamo tutte nell’ “incanto della memoria” che sta a significare uno stato d’animo di fronte ai ricordi che affiorano in lei. Ancora scrive: “…né avrei immaginato / di tornare un giorno in queste stanze / dove tanta vita si è consumata” oppure “Il piacere di scoprire… un biglietto di teatro / o di una mostra / che ci riporta per un attimo / al giorno in cui abbiamo goduto / di alcune ore serene / in buona compagnia”. E aggiunge altrove: “…tutto cambia nella vita / pian piano o all’improvviso / si perde un fiore / dell’anno passato, / una voce, una vita, / un compagno di giochi: / radici strappate / che si seccano al sole”. Ricordi si affollano nella mente, lieti o no. “O notte… / nascondi, ti prego, / i ricordi / che come spine crudeli / aprono ferite nel cuore. / A me lascia soltanto i ricordi / soavi…/ Il loro smanioso chiarore / è come il fulgore degli astri; /…ad accendere e illuminare / la nostra tenebra inquieta”. Significativo il paragone, da un lato tra la tempesta e il sereno che segue a questa, e dall’altro il lutto che invece non passa come la tempesta e rimane sempre in fondo all’animo, come un perenne dolore. “Lucida è l’aria dopo la tempesta /… / Non così la gioia… /… dopo la bufera del dolore. /…Il lutto stagna / duro sedimento / in fondo al cuore / come nell’ambra / antiche morte vite / che rinchiuse per sempre / alterano la cristallina trasparenza / della resina d’oro”. Ma, nonostante ciò, Ines Marone non si abbandona ai rimpianti, e, anche se avverte l’incanto della memoria, però sa che la vita continua e deve continuare. Cosi infine prorompe: “Preferisco guardare avanti / l’asfalto inondato di luce”.
Maria Elena Mignosi Picone
Ines Marone, L’incanto della memoria, pref. Nazario Pardini, Guido Miano Editore, Milano 2021, pp. 72, isbn 978-88-31497-47-3.