La Silloge di Marcella Mellea “Ventagli lirici” edita da Guido Miano Editore, Milano 2021, e prefata da un eccellente Enzo Concardi, mi ha concesso di calarmi nella Poesia e nel vissuto dell’Autrice. Non si tratta di lirismo intimo, ma intimistico, in quanto consente a ogni lettore di specchiarsi e di ritrovarsi. Le emozioni, infatti, sono il carburante della nostra esistenza, ciò che dà un senso al tragitto terreno. Credo che dovremmo prestare estrema attenzione alla razione quotidiana di emozioni, come siamo soliti fare per l’alimentazione, la dieta emotiva dovrebbe essere equilibrata per far sì che preveda una giusta razione di sentimenti positivi e negativi. Purtroppo siamo indotti troppo spesso a fuggire dalle sensazioni negative e i nostri comportamenti patologici sono determinati proprio dall’ansia di evitare a tutti i costi le situazioni che provocano dolore. Parallelamente le forme depressive, più o meno acute, così diffuse, celano un cattivo rapporto o una carenza di emozioni positive.
Marcella Mellea, con spirito autentico e spontaneo ci chiama a essere pronti a gestire un flusso relazionale in divenire che arricchisce il nostro modo di stare al mondo. Il suo stile è sinfonia di note, pannello di colori, giardino di profumi, si potrebbe dire che anch’esso, come ventaglio, si schiude a tutti i sensi e innalza altissimo il vessillo della Poesia. Lei è donna di territori di ricordi, di calore del presente, di tensione verso il futuro, di sguardo teso al sociale. «Lenta ti adagi, / nostalgia, / su un bimbo in fasce / posto in povera cuna. / Alba nuova di vita / con speranza / attendi» (Nostalgia). D’altronde che la memoria rappresenti il pozzo dal quale trarre linfa vitale per il futuro è innegabile, come è innegabile che potremo rimpiangere di non aver trascorso tempo con chi amavamo; di non essere stati abbastanza attenti a coloro che avevamo sempre accanto, perché erano vicini e li davamo per scontati. Il dolore, a volte, ci ricorda che nulla resta per sempre, ma lo sottovalutiamo, come se fossimo immortali. «Aghi pungenti / l’anima trafiggono / e il sorriso spengono. / il tempo donato / non ripagherà le attese. / Nelle ombre della sera / lentamente / le speranze svaniscono» (Rimpianti).
La Poetessa nel suo ventaglio di lirismo include il sentimento verso la persona che affronta con lei il viaggio della vita, consapevole che l’amore è la tensione verso un cielo segreto e permette di compiere i passi senza usare i piedi. «Dolce sorriso / specchio di Dio / risata che incanti, gioco innocente! / Riflesso / d’amore infinito!» (Tu sei). Trovo stupenda l’espressione “specchio di Dio”, perché presuppone che l’amore coniugale, che persiste attraverso le vicissitudini, sia il più bello dei miracoli. Amarsi è ‘consumarsi’, dal latino ‘prendersi interamente’, compiersi, raggiungere il punto supremo della vita l’uno dell’altro. La Mellea mostra di esserne pienamente consapevole, infatti recita ancora: «Essenza della mia esistenza, / presenza invisibile ma vera /ispiratore di pensieri nobili, / sostegno costante, amico fedele, compagno ideale» (Presenza).
E la Nostra si mostra tanto attenta alla rosa di sentimenti che la coinvolge personalmente, quanto alle vicende che recano dolore al prossimo. «Nel fango giocavo / e al sole rubavo tepore, / nell’aria splendevo di gioia. / Perle incastonate / nel buio della notte, / il mio sorriso diffondevo. / L’acqua che mi dissetava, / i balli per la strada / e una palla di pezza / mi rendevano gaio. / Lo stomaco piangeva / ma la vita / intensamente amavo» (Bambino africano). Incredibile la capacità di calarsi in prima persona nella realtà del bimbo e di coglierne gli aspetti salienti. Le creature sottoposte a esistenze durissime non conoscono l’arte del lamento, così diffusa in occidente. Sorridono e giocano, grati di essere al mondo. Non sanno delle classi sociali, non hanno giocattoli, non conoscono le invidie, sono ignari dei mezzi di comunicazione, della tecnologia. Sono comunità povere che vivono in pace.
La cifra poetica della Mellea, che procede per sottrazione, evitando le figure retoriche, le similitudini, riesce con la sua musicalità a trascinare nel vortice dei versi, a sentirsi parte di essi con i cinque sensi. Il timbro è la caratteristica che consente a tanta musica di espandersi, di assordare, e si tratta di un’antichissima categoria poetica, rimasta ignota all’estetica classica. Il timbro muta anche all’interno di una stessa lirica e determina il ritmo, che suddivide il testo in versi, dotandolo di pause, della punteggiatura, che a volte coincide con la pausa e dà risalto all’ultimo termine della poesia. Tutte le liriche dell’Autrice, o quasi, terminano con un verbo e la scelta non è certo casuale. Rivela un’etica nel metodo, che non nasce a tavolino, ma dall’ispirazione.
E tornando alle tematiche della Poetessa, non poteva mancare l’amore verso la figlia. «Come un fiore sboccerai / e le notti insonni dimenticherò. / I capricci passeranno, / con ali aperte / come aquila / lontano volerai. / Dimenticherai che dal nido non ti volevi allontanare / e i passi di tua madre volevi / sempre seguire» (Figlia). Una lirica didattica, che dimostra quanto si debba essere consapevoli che ai figli dobbiamo donare le radici e le ali. Nel ventaglio lirico della Mellea si vola senza rete dal trapezio delle emozioni che caratterizzano l’esistenza e si impara, lirica dopo lirica, che i lanci nel cuore non possiamo gestirli, perché sono fatti di respiri. Anche la ragione è asservita all’emozione: la prima spiega i fatti, la seconda li determina.
Maria Rizzi