Nell’audio di una versione televisiva trasmessa il 1° gennaio 1962 sul secondo canale Rai, il cui video è andato perduto, Eduardo dichiara che quando gli veniva chiesto quale personaggio amasse di più, fingeva imbarazzo ma, in realtà, il suo preferito era Sik Sik.
L’atto unico scritto nel 1929 durante il viaggio in treno da Roma a Napoli per una rivista al Teatro Nuovo, ha nel titolo la trasposizione in dialetto napoletano di ‘secco’ come era allora Eduardo, mentre il sottotitolo venne mutuato dalla definizione che Gabriele D’Annunzio aveva dato dell’arte sublime dell’illusionista dell’epoca Gabrielli. Il successo fu immediato, con oltre 450 repliche a Napoli e tante battute estrapolate dal testo divennero modi di dire nella vita quotidiana.
“Dite male del cravattaro, ma spendete una parola buona per Sik Sik, capostipite di tanti altri personaggi che vi presenterò per le trasmissioni future” dichiarava l’autore nell’audio di presentazione, fortunosamente ritrovato.
Sik Sik è un prestigiatore spiantato e maldestro che tarda all’appuntamento col suo aiutante perché la moglie non lo ha svegliato a tempo debito. Fermi all’angolo della strada, lui col suo sgargiante mantello cinese e lei vistosamente incinta e un po’ discinta per catalizzare gli sguardi incuriositi degli spettatori, si trascinano dietro un valigione e la gabbia dei colombi per i giochi di prestigio, rintuzzandosi accuse e responsabilità. Il problema sembra potersi risolvere grazie a un malcapitato passato per caso, cui il mago spiega come utilizzare i trucchi fingendo di essere un volontario tra il pubblico in sala.
Lo spettacolo va in scena ma, c’è l’imprevisto: arriva il vero aiutante che, indispettito, decide di sabotare i numeri del mago. Tutto va storto, il pubblico si diverte ma l’illusionista è silurato.
Il pubblico ride davvero e applaude a scena aperta per le battute ormai entrate nel lessico quotidiano, per le sgrammaticature e storpiature delle parole, per le maldestre improvvisazioni, per i patetici tentativi di rimediare agli errori, di un Carlo Cecchi in stato di grazia.
Il genio autorale di Eduardo che coglie miserie e immaginifiche piccinerie, coniugato alla plastica interiorizzazione del personaggio da parte di Carlo Cecchi, uno degli ultimi maestri del teatro popolare del Novecento, ripropongono questo atto unico come un eccelso esempio di umorismo che travalica la farsa con un personaggio tragicomico destinato al fallimento, metafora di spicciola quotidianità.
“Come in un film di Chaplin” – dice Cecchi che cura anche la regia – è un testo immediato, comprensibile da chiunque e nello stesso tempo raffinatissimo. L’uso che Eduardo fa del napoletano e il rapporto tra il napoletano e l’italiano trova qui l’equilibrio di una forma perfetta, quella, appunto, di un capolavoro”.
In scena anche Angelica Ippolito, Dario Iubatti e Vincenzo Ferrera, scene e costumi di Titina Maselli, luci di Camilla Piccioni, musica di Sandro Gorli.
Dolore sotto chiave viene scritto come radiodramma nel 1964, inserito nella raccolta Cantata dei giorni dispari e interpretato insieme alla sorella Titina.
Lucia nasconde per molti mesi al fratello Rocco la morte della moglie di cui finge di occuparsi, impedendogli di vederla per tema che un’emozione possa essere fatale. Dubitando che la moglie sia fuggita con un amante, un giorno il marito entra in camera ma la trova vuota. Lucia è costretta a spiegare di avergli nascosto la morte dell’ammalata avvenuta mentre lui era in viaggio di lavoro, per tenerlo al riparo dalla sofferenza. I vicini giunti man mano descrivono il magnifico funerale che Lucia ha riservato alla cognata, con la partecipazione di tutti come documentano le foto. L’unico a non aver vissuto il dolore e la catarsi della morte è stato Rocco.
Può la vita essere così grottesca da escludere la morte? Impedire di affrontarla, anzi negarla, significa non consentire di vivere una vita vera, ma un simulacro di esistenza in cui non c’è posto per i sentimenti, è l’amara e realistica deduzione.
“Eduardo sembra dirci che la morte fa il suo corso, portando con sé un carico di lutti, ma all’uomo non resta che affrontarla perché anche la morte fa parte della vita e cercare di negarla significa negare la vita stessa” sottolinea Carlo Cecchi nelle note di regia.
Gli altri interpreti sono Vincenzo Ferrera, Angelica Ippolito, Dario Iubatti, Remo Stella e M