Gian Pietro Bertoli è nato a Pont Canavese (TO), paese di cui è stato sindaco. Ha pubblicato vari libri e ha ricevuto premi e riconoscimenti in concorsi nazionali di poesia.
La zattera, la raccolta di una trentina di racconti brevissimi, che prendiamo in considerazione in questa sede, opera che ha un carattere di unitarietà, presenta una prefazione di Enzo Concardi centrata e ricca di acribia.
La diegesi, come scrive il prefatore, dalle chiare impronte memoriali e autobiografiche, è ambientata tra Pont Canavese e Sparone, due località piemontesi della Valle dell’Orco negli Anni Cinquanta con proiezioni nei decenni successivi: è una zona di montagna, e nella vita dei montanari di allora spesso si parla, dalle dure condizioni di vita al fenomeno dell’emigrazione. Pietro è il ragazzo in età scolare protagonista della prima parte di tali narrazioni, che assume il carattere di letteratura realista, oserei dire verista, mentre la seconda parte sfuma gradualmente tale identità per sfociare in dimensioni oniriche, con personaggi provenienti dal mondo fiabesco (elfi, silfidi, essere dalle terre di mezze, creature angeliche, famiglie di dinosauri, visioni e trasfigurazioni varie). Pietro è anche il nome dell’autore, nato proprio a Pont Canavese e che ora ha ottanta anni.
In Una notte sul monte un’atmosfera non solo di un naturalismo realistico ma che ha anche qualcosa di numinoso e surreale plasma la narrazione ambientata in un operoso cantiere sulle Alpi dove ferveva l’opera dell’uomo che con ferro e dinamite bucava i monti per aprire valichi e consentire il traffico di auto e treni.
Nel cantiere lavorano degli operai adolescenti che erano sottoposti ad una durissima disciplina dal loro terribile capo e che avevano il compito di tenere pulito e in ordine il cantiere. Evento statisticamente improbabile che dà una svolta al plot è quello di un’improvvisa e copiosa nevicata che cambia lo stato d’animo dei giovani che si abbandonano a giocare lanciandosi palle di neve abbandonando il lavoro.
Allora arriva il capo e li minaccia e se la prende soprattutto con Angelo perché non aveva svolto le sue mansioni bene e il giovane sensibile si rattrista molto. Poi una volta che la giornata lavorativa è finita lo stesso Angelo s’incammina in un buio assoluto che evoca la morte fino all’imbocco della galleria e vaga nella notte disperato e sconsolato e piange accarezzato dalla neve stessa: «…allora si sentì sfiorare il capo da una carezza e una voce confortante, che pareva quella di sua madre, dirgli: “Coraggio, la notte passerà”». Allora al mattino i compagni si accorgono della scomparsa di Angelo e temono che sia morto assiderato e si mettono a cercarlo e alla fine lo trovano redivivo. Anche il tema sociale è toccato in questo racconto e quello di un lavoro di decenni fa che ha reso possibile la viabilità nel nostro Paese.
In MilleNovecentoDiciassette è raccontata la storia di Marì che si chiamava così perché appena nata, insieme ai suoi genitori, era emigrata in Francia dove suo padre aveva trovato lavoro e che poi era tornata in Italia. Nell’incipit prevale una poetica linearità dell’incanto quando è detta un’autunnale giornata d’ottobre in cui gli alberi divengono colorati come fiori. «…La giovane quel giorno avrebbe attraversato una soglia molto importante per la sua vita: lasciava il mondo chiuso del borgo natio per affrontare la confusione emancipatrice e alienante della grande fabbrica…». La dodicenne raggiunge la fabbrica e trepida nel giorno della sperata assunzione nel tragitto per raggiungere il luogo di lavoro nella mente si chiede quello che deve dire nel colloquio per l’assunzione. Ma, colpo di scena, il direttore dell’azienda le dice che non può essere assunta perché ha solo 12 anni. Però anche qui il lieto fine perché Marì angustiatissima dal fallimento trova un giovane che le dà un passaggio per tornare a casa e così la ragazza sentendosi giovanissima ritrova la gioia di vivere.
Una forte introspezione dell’autore in questi micro racconti scritti in terza persona.
Raffaele Piazza