traduzione di Carlo Fruttero
diretto e interpretato da Giancarlo Cauteruccio
Costumi e assistente alla regia Massimo Bevilacqua
Compagnia Teatro Studio Krypton
In accordo con Arcadia & Ricono Ltd
per gentile concessione di The Estate of Samuel Beckett e Curtis Brown Group Limite
https://bit.ly/3Ik1gby
Attore, regista e drammaturgo noto per la poetica basata sul rapporto tra arte e tecnologia, Giancarlo Cauteruccio torna in scena nella “sua” Firenze, città dove ha studiato, vissuto e lavorato per molti anni. Due gli spettacoli che lo vedono protagonista al Teatro Niccolini di Firenze: “L’ultimo nastro di Krapp”, da martedì 7 a giovedì 9 dicembre – in cui il regista interpreta il testo beckettiano col suo piglio di sperimentatore – e “Fame, mi fa fame”, da venerdì 10 a domenica 12 dicembre, una delle sue performance più sentite.
Inizio ore 19,30 (domenica 12 dicembre ore 16). Biglietti posti numerati 17/20/27 euro compresi diritti di prevendita. Prevendite sul sito ufficiale www.teatroniccolini.com, su www.ticketone.it e nei punti Box Office Toscana. Sconto per soci Coop, under 21 e over 65. Si accede con Green Pass. Info tel. 055 094 6404 www.teatroniccolini.com.
Con L’ultimo nastro di Krapp Giancarlo Cauteruccio torna a Samuel Beckett, il suo autore più amato, e al suo testo guida, affrontato con successo in veste di attore e regista in due precedenti e fortunate edizioni. Raggiunti i 65 anni Giancarlo Cauteruccio, in perfetta coincidenza con l’età del protagonista della pièce, rientra nei panni del vecchio scrittore fallito Krapp ed esplora nuovamente quella drammaturgia del 1958, sublime e struggente, fatta di solitudine, silenzio, attesa e deriva, elementi che negli anni hanno invaso concretamente il suo corpo e la sua anima. Krapp, l’inesorabile mangiatore di banane e instancabile ascoltatore della sua voce registrata, rintanato nel buio della sua stanza in compagnia di un magnetofono e un numero cospicuo di bobine ben ordinate, compie un viaggio nel suo passato. Ma quel viaggio nel passato, catalogato con cura su nastri registrati a ciascun compleanno per recuperare quel sé stesso giovane, è comunque destinato a fallire. Alla fine Krapp rinuncia a registrare, rinuncia ad ascoltarsi: la voce diventa silenzio, il movimento si raggela in immobilità; consapevolmente si adegua alla disfatta. Nel 2004, per l’interpretazione del monologo, Cauteruccio entra nella terna finale del Premio UBU come miglior attore protagonista e nel 2006, per il Trittico Beckettiano, riceve il Premio alla regia dell’Associazione Critici di Teatro al Teatro Argentina di Roma.
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https://bit.ly/3Ik1gby
Teatro Niccolini – via Ricasoli, 3/5 – Firenze
FAME, MI FA FAME
scritto, diretto e interpretato da Giancarlo Cauteruccio
assistente alla regia Massimo Bevilacqua
riprese e elaborazioni video Stefano Fomasi
Compagnia Teatro Studio Krypton
“Fame, mi fa fame” prende corpo da “Panza, Crianza, Ricordanza”, poemetto in dialetto calabrese scritto nel 2009 da Giancarlo Cauteruccio (edizioni della Meridiana). La sua fame, condizione disperante, rifugio, luogo poetico e creativo ad un tempo, diviene occasione di dirompente denuncia contro l’orrore. Un lavoro della memoria sulla memoria, sulla fame onnivora che tutto ricorda, dove nulla è suo ma tutto le appartiene. Solo in scena, affiancato dai suoi fantasmi e dai suoi sensi, il regista/attore con i suoi versi affronta lo smembrarsi del tempo, dei fatti, dei luoghi portando su di sé i segni della sua condizione di ammalato di fame insaziabile e affidando alla sua lingua madre questa nuova messa in gioco di tutto il suo corpo, poetico, fisico, teatrale. Versi che si situano nelle pieghe, nelle differenze, nelle disparità, nella vecchia dicotomia di un occidente troppo grasso per pensare, dalla mente poco sgombra, e di un oriente produttore di saperi e figure sottili, vittima di una fame senza rimedio. FAME, mi fa fame è un lamento, un grido che lentamente si fa poesia per raccontare la guerra del cibo, la guerra dei ricchi e dei poveri, attraversando l’immaginario letterario e artistico medievale e rinascimentale (paese di cuccagna, guerra di quaresima e carnevale) e le opere di Artaud, Celine e Hamsun. Giancarlo Cauteruccio qui prende con sé tutto il dolore di chi mette in gioco la propria carne nella propria carne, amplificando l’ambiguità di una condizione disperante e tragica. Ne fa urlo, strepito, canto, un canto che si leva sui conflitti del mondo pur rimanendo nel mondo, opponendosi all’orrore quotidiano che è solo una ripetizione di quello trascorso, della guerra che è sempre la stessa, della distruttività umana inalterata nel tempo. I suoi versi esaltano il paradiso possibile di un ritrovato equilibrio con la natura da cui egli preleva gli elementi semplici, come quelli evocati dalle ricette culinarie della sua terra, come la sua lingua, ristoro, risorsa e piacere.
Un’alchimia di suoni e sapori da contrapporre al puzzo mefitico di infera memoria che uccide la natura corrompendone la bellezza.