L’opera I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini torna alla Scala dopo più di trent’anni con una nuova produzione diretta da Speranza Scappucci e con la regia di Adrian Noble, per tredici anni direttore della Royal Shakespeare Company.
I Capuleti e i Montecchi, opera in due atti, fu rappresentata in prima assoluta l’11 marzo 1830 al Teatro La Fenice di Venezia. Rapida fu la genesi dell’opera. Va ricordato che il libretto di Felice Romani era in realtà un adattamento, con una drastica riduzione dei recitativi, di un suo precedente melodramma già messo in musica da Nicola Vaccaj: e mentre in quest’ultimo era stato dato ampio spazio alla lotta tra le famiglie dei Montecchi e dei Capuleti, in quello per Bellini la rete dei rapporti familiari politici è relegata sullo sfondo e lo sviluppo della vicenda drammatica è concentrato esclusivamente sulla coppia dei due infelici amanti e sul loro tragico destino.
L’opera vide lavorare musicista e librettista in stretta collaborazione, in uno stesso appartamento veneziano, e fu composta in poco più di un mese tra la fine di gennaio e i primi di marzo, tanto che Bellini per limitatezza di tempo e per rispettare l’impegno assunto con l’impresario Alessandro Lanari (determinato in seguito a una inadempienza del compositore catanese Giovanni Pacini a garantire un regolare svolgimento della stagione veneziana di Carnevale) fu costretto ad attingere a piene mani alle musiche della sfortunata Zaira, l’opera da lui composta l’anno precedente. Si risolse inoltre ad adattare le parti di soprano e contralto di Zaira e Norestano ai registri vocali – di soprano e mezzo soprano – alle due “prime” cantanti alle quali doveva essere destinata la nuova opera, le cantanti destinate a sostenere i ruoli rispettivamente di Giulietta e Romeo.
Con la composizione de I Capuleti e i Montecchi Bellini raggiunse la piena maturità artistica. In seguito al debutto, che ebbe grande successo, tutti i recensori dell’epoca riconobbero che nell’opera “si era prodotta una svolta stilistica, avvertita al tempo stesso come una restaurazione dell’antica Scuola italiana e come uno slancio verso il futuro” come scrive la musicologa Graziella Seminara.
Ma la novità del linguaggio belliniano non fu unanimemente accettata. Ne è la riprova la prassi di sostituire le scene ultime dei Capuleti con quelle ultime di Giulietta e Romeo di Vaccaj, divenuta ben presto consuetudine diffusa nei teatri italiani ed europei. Fino a quando la cantante Giuseppina Renzi de Begnis richiedendo attenzione al pubblico, nella primavera del 1834 al Teatro della Pergola di Firenze, trovò il coraggio di riproporre il finale belliniano: “Dove non vi son cose che grattino l’orecchio e per gustarne la bellezza sia della musica che della declamazione bisogna fare un silenzio religioso. Questo l’ottenni… Insomma, a farla corta fece gran piacere, e dopo fummo chiamati fuori.”
Nell’incontro “Una drammaturgia senza il vilain”, con ascolti e video, parla di I Capuleti e i Montecchi Graziella Seminara, Professoressa di Musicologia e Storia della Musica all’Università di Catania.
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