Diverbi fra sorelle
in un interno napoletano. Sole, nubili, menomate fisicamente, anziane. Ma caratterialmente opposte e tuttavia complementari.
Conducono una merceria e trascorrono il tempo libero in casa a battibeccare su tutto, alimentando rancori e frustrazioni in una reiterazione ossessiva e compulsiva di accuse reciproche.
Addolorata ha il desiderio mai sopito di godere la vita, comprare vestiti, dotare la casa di qualche elettrodomestico, contrastata dalla sorella maggiore Rosaria che lesina su tutto e perfino sulla spesa costringendola, con ostile grettezza, a mangiare frutta avariata e spaghetti con le ”vongole fujute” (fuggite).
Un’esistenza monotona e ripetitiva tra le lamentele di Rosaria per i guadagni esigui del negozio assediato dai circostanti empori cinesi che rubano clientela e l’insofferenza di Addolorata, succube suo malgrado dell’atmosfera claustrofobica. Il tentativo di abbattere questo muro di abbrutimento Addolorata lo mette in atto attraverso la televisione, unico tramite che introduce in casa una voce e un’immagine esterne. Sintonizzata incessantemente su telenovele e previsioni astrologiche, sogna di incontrare un uomo come le eroine televisive e telefona furtivamente al cartomante che con voce rassicurante le fa balenare una prospettiva di vita, prontamente e aspramente rimbrottata dalla sorella che origlia alla porta.
La scenografia di Carmelo Giammello rende tangibili le dinamiche relazionali attraverso gli spazi abitativi. La camera di Addolorata col televisore sempre acceso è il luogo dell’azione, intorno a cui si articolano gli altri ambienti collegati dal corridoio.
La travagliata convivenza nel primo atto suscita ilarità per gli scambi incalzanti di battute in un linguaggio napoletano esilarante, anche se non totalmente comprensibile. A interrompere la sequenza di schermaglie arriva inatteso l’invito al matrimonio del cugino con la badante moldava della vecchia madre.
Il dissenso tocca l’acme poiché Addolorata vorrebbe finalmente comprarsi un abito e fare un regalo ‘da signore’ mentre Rosaria vuole riutilizzare i vestiti dei funerali (i costumi sono di Chiara Aversano) e regalare una piccola cornice adatta al cugino ‘nano’. Ovviamente prevarrà la sua volontà col seguito di critiche malevole del parentado.
Rientrate a casa -la porta d’ingresso rappresenta i passaggi esistenziali- tutto precipita. Rosaria dopo un diverbio finirà sulla carrozzella e Addolorata finalmente potrà soddisfare i desideri. Ma rimpianti e rimorsi visiteranno i suoi sogni: soli si vive male e ciò che si anela non sempre rende felici.
La tragedia del vivere alimentata dai germi della crudeltà familiare genera mostri, o folli.
Il testo di Gianni Clementi originariamente in romanesco è stato trasposto in napoletano mantenendo l’impianto che vira dal comico al tragico-noir, con tempi comici efficaci e dialoghi improntati a spontaneità e naturalezza, pur con qualche pregiudizio e stereotipo. La regia di Pierpaolo Sepe armonizza drammaturgia e recitazione ma indulge in qualche digressione.
Veracemente napoletane, attrici di conclamato talento e protagoniste del teatro di Annibale Ruccello, Isa Danieli e Giuliana De Sio sono dotate di una verve comica che definisce perfettamente i due caratteri: dura, gretta e anaffettiva l’una, sognatrice, arrendevole e passivamente affezionata l’altra. Ingenuità e malevolenza si mescoleranno e ribalteranno in una modalità inaspettata dove c’è spazio per la rivalsa.
È di Sergio Rubini la voce suadente del mago che esorta Addolorata alla ribellione scatenando luci psichedeliche colorate (di Luigi Biondi) e musica roboante.