Madre è uno spettacolo di e con Ermanna Montanari, su poemetto scenico di Marco Martinelli. Presentato per la prima volta al Festival Primavera dei Teatri nel 2020, è andato di nuovo in scena dal 18 al 23 gennaio 2022 al Teatro Elfo Puccini di Milano. Lo spettacolo vede anche la preziosa partecipazione del contrabbassista Daniele Roccato e del disegnatore Stefano Ricci.
Vale la pena spendere alcune parole sulla compagnia Teatro delle Albe. Attiva dal 1983 a Ravenna con fondatori Ermanna Montanari, Marco Martinelli, Marcella Nonni e Luigi Dadina, unisce allo studio di testi antichi uno sguardo interessante verso il nuovo. Gli artisti coinvolti nei vari progetti della compagnia, diventano co-autori degli spettacoli stessi. Ne è la prova vivente lo spettacolo Madre, storia che manifesta anche un certo attaccamento alla terra (Madre oltre a essere una vera madre, è anche madre terra), alle tradizioni e ai luoghi ancora incontaminati dalla tecnologia dilagante e imperante. Non è un caso se l’animale preferito dal Teatro delle Albe è l’asino, da cui trae ispirazione il prologo alle Albe e in cui viene data voce proprio a un asino. Quest’ultimo diventerà poi quasi un topos nella produzione della Albe, sino ai film di Marco Martinelli, nello specifico mi riferisco al film Fedeli d’amore, dove la voce di Ermanna Montanari diventa quella di un asino in strada, con un risultato suono-immagine davvero sorprendente.
Confusione. Sul palco c’è Ermanna Montanari, a seguire c’è Stefano Ricci, poi Daniele Roccato.
Un vortice di parole sussurrate e incomprensibili in dialetto romagnolo, ci catapultano nella storia. Non è utile capire l’esatto significato di quanto detto, ma capire dove siamo: nella mente di un figlio che ha appena appreso che sua madre è caduta in un pozzo. Ansia, confusione, delirio, corsa, immaginazione, ricerca, diventano gli ingredienti di una pozione magica che forse potrebbe far uscire quella Madre dal pozzo, non essendoci altri mezzi a disposizione per tirarla fuori.
Ermanna Montanari impersona con la sua sola voce materica e camaleontica due personaggi – prima il figlio – usando delle tonalità metalliche e acute – poi la madre contadina – dalle timbriche maschili e a volte ferine nel momento in cui indossa una parrucca dai capelli bianchi (unico elemento da cui si intuisce il cambio di personaggio).
Madre e figlio, forse sono due facce della stessa medaglia, il riflesso perturbante l’uno dell’altro.
Il pozzo – specchio.
Il racconto può essere seguito in tempo reale e contemporaneamente anche per immagini. Disegnate con gesso bianco su sfondo nero da Stefano Ricci, vanno a determinare un vero e proprio susseguirsi di icone in movimento, che sembrano prendere vita come nel cinema. Il motivo predominate è il cerchio scuro che diventa specchio. Il pozzo-cerchio in cui viene ritratto continuamente il volto del figlio diventa superficie riflettente, intesa come specchio comunicante con un universo parallelo come in alcune mitologie popolari, ma anche come zona-transito per creare una comunicazione con la madre e con la terra. Per tutto il tempo il figlio immagina (?), sogna (?) di rivolgersi a questa madre precipitata nel “pozzo sfondo”, circondata da animaletti di ogni tipo e poi invasa nella carne da una bisiciolina. Il volto disegnato incavato e infossato del figlio, che cerca di emergere dal buio degli inferi o dalle acque del pozzo come una luce, diventa immagine di un alter ego, ma anche di uno spettro di questa madre contadina, generando un meccanismo perturbante di freudiana reminiscenza, che provoca angoscia e paura.
La fase dello specchio di matrice lacaniana del 1936 dei primi mesi di vita di un bambino, viene qui ribaltata nell’immagine allo specchio di un bambino più adulto. Lo sviluppo della fase dello specchio di Lacan si deve allo psicanalista e pediatra Donald Winnicot nel 1967, che ricorda che, quando il bambino si specchiava nello sguardo o nel volto materno, in realtà vedeva sè stesso. Questa storia potrebbe avere quindi dei risvolti psicologici, ma anche quelli di un thriller. Non capiremo sino alla fine se la madre è caduta nel pozzo perchè si è sporta troppo a guardare giù dal pozzo o perchè spinta dal figlio. I disegni di Ricci sembrano immagini oniriche inafferrabili e fumogene, riproducono anche il paesaggio di un mondo contadino quasi disabitato e senza tempo.
Le musiche di Daniele Roccato.
Il contrabbasso di Roccato si inserisce perfettamente all’interno di questa formula tripartita, da cui viene fuori un risultato estetico e contenutistico a dir poco perfetto.
Contribuisce a rendere intenso il dramma della situazione sottolineando gli accenti delle parole che vengono quasi ricamate con i disegni di Ricci, ma anche a darne una resa onirica e immateriale.
Madre è concretezza dei linguaggi, ma anche pura poesia, è presenza teatrale, ma è anche eco di ciò che non c’è più, come nella pellicola di un cinema, una formula congeniale tra tradizione e novità.
Lavinia Laura Morisco