Thomas Bernhard
, critico spietato della nazione austriaca governata da una classe politica che non ha rinnegato il passato nazista, e di tutto il popolo austriaco intrinsecamente nazifascista, fu avversato in patria ed ottenne un certo favore all’estero.
Questa denuncia, già presente nei lavori precedenti, divenne il testamento spirituale e teatrale in “Heldenplatz” la cui prima rappresentazione il 4 novembre 1988 sollevò uno scandalo con accuse di antipatriottismo. Meno di tre mesi dopo Bernhard morirà disponendo che i suoi lavori non venissero più pubblicati e rappresentati in Austria.
Il testo, portato in scena in Italia per la prima volta nel 2021 dal regista Roberto Andò prodotto dallo Stabile di Napoli e trasmesso su Rai 5 per il 90esimo anniversario della nascita del drammaturgo, adesso approda finalmente sulle tavole del palcoscenico.
Preceduta da una vasta teoria di scarpe (Bernhard era un estimatore delle calzature inglesi) la scena si apre nella casa del professor Josef Schuster di cui la governante stira e piega meticolosamente le camicie da riporre nei bauli da spedire a Oxford, rievocandone la vita e il pensiero alla cameriera Herta che ha gli occhi puntati sulla piazza oltre le grandi finestre dalle quali il professore si è suicidato. È un giorno di marzo 1988 a Vienna ed è la stessa piazza in cui nel 1938 Hitler annunciò alla folla l’annessione dell’Austria alla Germania nazista (Anschluss). La mente sconvolta della vedova continua a sentire la folla inneggiante, ribatte Herta mentre la signora Zittel ritmicamente racconta la storia della famiglia ebrea e rammenta l’esilio a Oxford per le leggi razziali, le abitudini, le manie, il distacco emotivo del professore dalla follia della moglie fino all’ineluttabile disperazione nel percepire il fascismo che avanza camuffato da sovranismo e populismo che lo spingerà al gesto estremo. Uomo di pensiero, inflessibile ed egocentrico, è rientrato a Vienna attratto dall’amore per la musica ma si è sentito braccato dalla società che continua a praticare nazismo e antisemitismo.
La decadenza della famiglia impone la vendita della casa, con esplicite allusioni al “Giardino dei ciliegi” di Čechov.
Di grande suggestione la seconda scenografia minimalista con tronchi d’albero sospesi su due panchine (scene Gianni Carluccio) dove le due figlie confrontano le loro opinioni: Anna è lucida e razionale, Olga taciturna e remissiva. Quando sopraggiunge lo zio Robert si tocca l’acme dell’invettiva contro la degradazione morale e politica del Paese. Con l’apparente pacatezza di chi sa non esserci via d’uscita, Robert si rifiuta di denunciare chi vuole costruire una strada nel giardino (ancora Čechov) e dichiara che i viennesi odiano gli ebrei, come ha già sperimentato Olga che ha ricevuto gli sputi. Nulla è cambiato in 50 anni, Vienna è sempre piena di nazisti, gli ebrei sono discriminati ed egli stesso è emarginato da quando è rientrato da Cambridge dove insegnava filosofia, la sua tragedia sta nell’essere sopravvissuto: “Gli europei sono condannati a morte, la sentenza è stata pronunciata. A Vienna ci sono più nazisti che nel ’38, lo vedrai come tutto finirà male”.
Il finale vedrà la famiglia riunita intorno alla tavola, compresi il figlio Lukas e la vedova Hedwig ossessionata dalle grida che salgono dalla Piazza degli Eroi.
Renato Carpentieri giganteggia nello stigmatizzare le nefandezze e predire il disastro con animo profetico, Imma Villa è un’efficace signora Zittel. Con Betti Pedrazzi, Silvia Ajelli, Paolo Cresta, Francesca Cutolo, Stefano Jotti, Valeria Luchetti, Enzo Salomone e Vincenzo Pasquariello che esegue al piano musiche viennesi.
”Piazza degli Eroi” è il testo più politico di Thomas Bernhard, beninteso nella cifra esistenziale e metafisica che alla politica ha sempre voluto attribuire questo autore e non è mai stato rappresentato in Italia. Negli ultimi anni, ho pensato molte volte di farlo, e ora, ho pensato che fosse arrivato il momento giusto. Giusto e opportuno perché, a dispetto della inedita precisione realistica di Bernhard, oggi per comprendere il senso di questo testo visionario e catastrofico non servono indicazioni di luogo e di tempo. Ognuno degli spettatori che assisterà a una recita di Piazza degli Eroi, capirà subito che l’azione si svolge in una qualsiasi piazza da comizio, di una qualsiasi città d’Europa…La piazza e le voci inneggianti che si levano a disturbare la mente sconvolta della vedova del suicida, sono la piazza e le voci che ovunque nell’Europa smarrita di oggi invocano l’uomo forte, “un regista che li sprofondi definitivamente nel baratro”, come dice lo zio Robert” scrive Andò nelle note di regia.