Questa breve silloge di Luigi Razzano è interamente composta da liriche di carattere mariano, ovvero dedicate alla figura di Maria come madre di Dio, che celebrano in particolare il miracolo dell’opera dello Spirito Santo su di Lei e la sua obbedienza al disegno divino. L’argomento è quindi di natura religiosa, teologica, trascendente, pertinente alla sua vocazione sacerdotale: è un dogma della religione cattolica presentato attraverso la poesia, la quale coglie – oltre alle dimensioni divine – gli elementi umani, soprattutto nel turbamento iniziale di Maria, nello smarrimento di Giuseppe, nel destino del figlio di Dio. Mi pare di cogliere in questi versi lo stesso entusiasmo manifestato dal neo-convertito Manzoni nei suoi Inni Sacri, riferimento letterario al quale si può accostare Poëticae Mater, in specifico per alcune parti de Il nome di Maria e de Il Natale. Occorre precisare, tuttavia, che la poesia religiosa giovanile manzoniana è appesantita da numerosi inserti dogmatici e culturali, mentre lo stile del nostro autore è più leggero, terso, cristallino e sintetico; invece, d’altro canto, si deve al Manzoni un maggior impegno sul piano tematico e contenutistico.
In esergo leggiamo una premessa dell’autore della quale ci sembra importante richiamare alcune notizie e taluni concetti. Le informazioni interessanti sono essenzialmente due: egli dichiara di essere stato ispirato dalla lettura del romanzo breve di Erri De Luca, In nome della madre (2006), che mette in risalto soprattutto gli aspetti umani e psicologici della vicenda di Maria di Nazaret, ovvero Miriam in ebraico. Quindi un fatto culturale laico lo ha indotto ad esporre la visione della Chiesa in materia. L’altra riguarda i tempi di esecuzione: solo tre giorni, il che significa che l’autore è stato preso da un’urgenza spirituale e lirica allo stesso tempo, per non perdere il momento creativo fecondo, il quale gli ha fornito l’occasione di sviluppare alcune riflessioni sulla crisi attuale e sul relativo disagio esistenziale, dovuto anche, secondo lui, all’assenza della poesia, «intesa come requisito fondativo per mettersi in ascolto della condizione originaria ed esistenziale dell’uomo contemporaneo». Infatti, nell’Appendice affronta il tema della sostanza e della funzione della poesia in alcune liriche chiarificatrici: Maria è madre dell’arte poetica, alta e casta, di origine divina, poiché il poeta trasforma le parole «adeguandole al Verbo» (Poesia nuova). Così i poeti «Sono comete / che vengono da lontano / ad irradiare nel mondo / l’amore di Dio / per gli uomini» (Alchimia poetica).
La poesia di Razzano è poesia religiosa nel pieno significato della parola, cioè ispirata dal divino, testimonianza di fede, canto per la maggior gloria di Dio, com’era capitato nei secoli dopo l’anno mille, quando fu la prima forma di letteratura italiana. Sostiene anche Nazario Pardini nella prefazione: «… è rinascita, creazione, elevazione, élan vital verso il Cielo, come direbbe Paul Verlaine: ‘‘Le ciel est par-dessus le toit’’ ». Le liriche sono pòrte al lettore con un messaggio in prima persona, talune, o dando direttamente voce a Maria, le altre. Un fatto curioso che si nota nella lettura dei testi poetici riguarda i nomi Gesù, Cristo o Gesù Cristo: non appaiono mai, ma al loro posto vi sono, alternativamente, Verbo, Divino, Figlio mio. Forse è una scelta dell’autore per conferire maggior risalto alla figura di Maria, forse una casualità, altrimenti solo il poeta potrebbe spiegarcene il motivo. I passaggi più significativi mi sembra alberghino in Annuncio, dove la maternità è sia naturale che divina, poiché Maria è «gravida di senso» e il suo grembo «ora è pieno di Dio».
In Madre dell’amore, in cui l’ultima terzina contiene un nome composto che sottolinea la natura della femminilità di Maria: «E’ la primavera Donna del cielo / che al dirsi del Verbo / diviene madre dell’amore». Nelle liriche Josef e Sogno, sul tormento di Giuseppe che alla fine si arrende alla volontà di Dio; qui è Maria a pronunciare parole decisive: «Per la prima volta osai guardarlo. / Mi aveva creduto / e più che mai lo sentii mio sposo», e dopo l’apparizione dell’angelo in sogno «decise il suo sì». In Bet Lèhem che svela l’incarnazione: «Il tuo destino figlio mio / è tutto qui: / in questo pane spezzato per l’uomo». E infine in Figlio mio, accorato ed orgoglioso inno di Maria per essere la Madre di Dio: «Per dire a tutti chi sei /…/ E lo dirò per te, / per avermi lasciato essere / me stessa in te».
Enzo Concardi