La commedia di Eduardo fa il pieno di spettatori al teatro e diverte, tanto
In un teatro Donizetti tutto pieno, “Ditegli sempre di si”, la commedia tragicomica meno nota di Eduardo De Filippo, portata in scena da “La compagnia di teatro di Luca De Filippo” per la regia di Roberto Andò, piace, diverte e fa pure riflettere perché a dispetto dell’anno in cui venne concepita dal grande commediografo napoletano – correva l’anno 1927 -, rimane profondamente attuale. Il sipario s’apre con il quadretto di tutti i protagonisti sul palco che si dileguano un paio di secondi dopo, non appena vengono abbassate le luci. Un flash, come in una foto, si stampiglia davanti agli occhi degli spettatori. La commedia inizia con la cameriera Checchina (Paola Fulciniti) che mette in ordine l’appartamento della vedova Teresa Lo Giudice (Carolina Rosi). Quest’ultima ferve dal desiderio di rivedere il fratello don Michele Murrì (un grande Gianfelice Imparato), dopo l’annuncio del suo psichiatra Croce (Vincenzo D’Amato) che sarebbe rincasato dopo aver “soggiornato” al manicomio per un anno esatto. Ma di questo nessuno dovrà sapere. Per Teresa ciò che deve essere a tutti palese è che don Michele è stato fuori per il suo lavoro da commerciante. Donna Teresa mette, nel frattempo, alla porta don Luigino Strada (Edoardo Sorgente) il conquilino che nel frattempo lei ha accudito come se fosse un figlio per restituire la stanza al fratello. Don Luigino sia pure perennemente svogliato con la sola fissa di voler diventare un consumato attore di teatro “perché il teatro, – a suo dire – rappresenta la vita e la vita rappresenta il teatro “, è pure innamorato di Evelina (Federica Altamura) figlia di don Giovanni Altamura (Massimo Di Matteo), padrone di casa di Teresa. Tutta la commedia si snoda tra l”l’equilibrio” della condizione di un uomo che rimane tuttavia profondamente malato (e la cui patologia reca timori e paure ancestrali anche oggi) e la realtà che lo circonda in cui la società tende ad allontanarlo e a tenerlo ai margini. D’altro canto – e qui riaffiora la comicità che scaturisce prorompente da don Michele che ricorda perfettamente nelle movenze, nella voce e nel modo di porsi il grande Eduardo – egli è un pazzo metodico che prende tutto alla lettera, che ignora l’uso della metafora e non si trattiene dallo specificare ogni cosa nel dialogo con gli altri. Il riso è inevitabile tra gli equivoci e i fraintendimenti delle conversazioni tra i protagonisti.
Ed allora il pubblico assiste al fatto che don Michele prima d’accordo con la sorella nel voler prender moglie Evelina per “sistemarsi”, quando incontra quest’ultima, invece di dire di volerla sposare, cambia improvvisamente versione e dice sempre ad Evelina che sua sorella Teresa si sia follemente innamorata del padre don Giovanni e che lo vorrebbe come marito. Don Giovanni appreso questo dalla figlia “assume” un atteggiamento da innamorato nei confronti di Teresa che, naturalmente, non sa quanto “ordito” dal fratello da suscitare l’ilarità del pubblico.
Oppure, quando l’amico di don Luigino, Ettore De Stefani (Andrea Cioffi) entra in casa da don Michele e “rivela”, mentendo, dicendolo ovviamente tra il serio ed il faceto, (anche per cercare di giustificare “l’ammanco” di 30mila lire dei suoi clienti come assicuratore, vista come s’era messa la situazione) d’aver vinto un premio di 250mila lire al terno al lotto. Qui don Michele, prendendo tutto alla lettera, come al solito, ha modo di riferire di questa presunta “vincita” alla fidanzata di Ettore: la signorina Olga (Viola Forestiero) che naturalmente crede totalmente a quanto riferito da don Michele da farle “apparire” tutto vero.
Ecco dunque come don Michele riesce ad innescare così, anche qui, una serie inenarrabile di equivoci che vengono messi in campo quasi “ad arte” da quest’ultimo, uno dietro l’altro, senza soluzione di continuità, da rendere la vita familiare e quella del vicinato a tal punto “invivibile” da convincere alla fine la sorella Teresa a disvelare il “segreto” della condizione vissuta veramente da suo fratello per non creare ulteriori problemi e rischi seri per la vita di ciascuno. Specie quando armato di un coltello don Michele s’avvicina in un attimo a don Luigino facendo inizialmente credere a tutti che sia quest’ultimo pazzo e che se il problema era nato dalla testa l’unico modo per farlo guarire sarebbe stato necessario: tagliargliela. La commedia, che nella sua gran parte è divertente, finisce però con il retrogusto amaro di una vicenda dai risvolti tragici, a tal punto da convincere Teresa che debba essere lei e nessun altro ad occuparsi del fratello e della sua malattia. Un po’ come succede a tante famiglie che, vittime della condizione in cui versano i propri congiunti che soffrano di tali patologie, non riescano ad individuare una soluzione per una guarigione al di là da venire, ma soprattutto non sia così semplice quale sia il modo migliore per “trattare” persone che vivono un’esistenza al di fuori della realtà che li circonda.
Vito Fabio