Sabato 12 alle ore 21:00, e domenica 13 luglio alle ore 18:00 presso il Teatro Tordinona di Roma (via degli Acquasparta, 16), Floriana Corlito, Giorgia Pozzi ed Alessio Droghini, diretti da Alessandro Calamunci Manitta, portano in scena “I nomi di un gioco” un testo di Carolina Sacconi.
Dopo il grande successo di questa estate all’Auditorium del Seraphicum la compagnia ha deciso di replicare ulteriormente a grande richiesta!
La Storia è un fatto e un fatto è un dato oggettivo, ma cosa succede quando due giovanissimi avvocati si scontrano con le storie di chi la Storia l’ha fatta? Giulia e Francesco accettano di difendere Rosy. La storia di sua nonna, una staffetta partigiana, è stata rubata da un noto scrittore che l’ha inserita nel proprio libro e l’ha resa universale. La storia, la memoria, i ricordi di una ragazza che a soli 17 anni ha fatto la resistenza ci pongono una domanda: il 1945 ed il 2021 sono davvero così distanti?
Lo spettacolo nasce da un incontro con una donna straordinaria, una partigiana classe 1927. Siamo stati subito colpiti dalla sua grande forza che ci ha spinti a chiederle di poter scrivere uno spettacolo proprio su quella storia, la sua, che senza sosta continua a raccontare. Come poter restituire quello che i racconti di questa donna sono stati per noi? Ci siamo accorti che conoscere la Storia non significa solamente impararne le date, ma empatizzare con essa ci aiuta a comprenderne il significato più profondo. Entrare a contatto con le testimonianze di chi la Storia l’ha costruita con la propria vita, ci aiuta ad avere una consapevolezza diversa dei tempi moderni.
Dalle note di regia di Alessandro Calamunci Manitta: “Lo spettacolo si muove su due binari temporali differenti: da una parte, siamo nel 2021 all’interno di uno studio legale capitolino; dall’altra, siamo immersi nel pieno della Resistenza. A muovere i fili narrativi è una causa intentata dalla nipote di una partigiana nei confronti di un noto scrittore, accusato di aver pubblicato un libro contenente aneddoti e storie vissute e raccontate da nonna Rosa nel suo diario. I tre attori nel presente vestono rispettivamente i panni di una giovane avvocatessa, di un praticante dello studio legale e della cliente. Per quanto concerne, invece, la sfera del passato sono costretti a repentini cambi di personaggio che consentono di avere un ventaglio di storie ampio e variegato. Ecco allora che entriamo in contatto con tanti personaggi, che raccontano le loro fragilità, i loro desideri e le loro paure, rifugiandosi dietro a dei nomi di battaglia. Ecco così Cocò, Nina, Libero, Carmen e la nostra Rosa che sceglie di farsi chiamare Tina. “È che abbiamo i nomi di un gioco e ci confondono”.
I costumi e le luci, oltre a scandire i passaggi temporali, sono utili agli attori per effettuare quella metamorfosi che il testo richiede. Molto spesso però, saranno piccoli elementi a distinguere un personaggio dall’altro e quindi il resto del lavoro è affidato all’attrice o all’attore che dovrà essere abile a trasformarsi dall’interno. La scenografia, piena di fogli e di libri ha pochi elementi ed è all’apparenza asettica, ma vuole sottolineare la traccia che la Resistenza deve continuare a lasciare nel nostro Paese. Ad ogni ingresso dei personaggi, questi portano in scena altri faldoni, che riducono lo spazio utile ai movimenti e simboleggiano il peso della storia, di quelle storie che non sono solo oggettive.”
“I nomi di un gioco” è un’esigenza: l’esigenza di raccontare la Storia per conoscere meglio noi stessi.