Il libro di poesie di Marco Righi, Scienza, fede… e poesia (prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano, 2021) è suddiviso in quattro parti: Fede, Scienza, Poesia, Atti di Vangelo. Naturalmente l’autore è interessato soprattutto al “messaggio”, confezionato nelle forme chiuse e ordinate della tradizione, che egli intende veicolare attraverso i suoi versi. È per questa ragione che l’io si rivolge con insistenza al destinatario, a un ”tu” generico. Lo scopo è persuadere, convincere delle verità eterne, dei valori che lo scrivente intende comunicare. Sì, perché l’intenzione primaria è quella di comunicare e conseguentemente la lingua adottata è per lo più quella di tutti i giorni, se pure con una patina arcaizzante. Una poesia, quella di Marco Righi, che pigia il pedale sulla funzione pragmatico-referenziale, in quanto Parola che ha l’ambizione di agire sul lettore.
La prima parte, intitolata Scienza (Marco Righi è ricercatore e lavora presso il CNR), si apre con il testo Raggi nel silenzio, che suona come un elogio del lavoro infaticabile e appassionato dello scienziato, che, nella poesia successiva ruba spazio al sonno, mosso dalla febbre di nuove scoperte, in una ricerca del vero «che al bello spesso si unisce» (Passione). Un pregio di queste componimenti risiede nel fatto che il dato scientifico si fa sovente immagine, come, a titolo esemplificativo succede in La giostra. Per Righi la scienza non è una turris eburnea in cui rinchiudersi, ma una risorsa al servizio della gente; e chi «scienza disdegna» (Torre d’avorio) può incappare in truffe e raggiri, che sono orditi proprio ai danni di creduloni e ingenui e di coloro che credono ancora a «fatture e malocchio» (ibid.).
Il Nostro affronta anche temi d’attualità come in Coronavirus, dove i suoi strali colpiscono la hybris, la tracotanza dell’essere umano, che si crede padrone del «Creato», anche se varie rivoluzioni hanno nel tempo ridimensionato il suo ruolo. L’uomo deve rendersi conto che è solo un «ospite / per giunta non gradito» (ibid.) a chi soffre i contraccolpi dell’inquinamento. E così viene toccata anche la tematica ecologica, sviluppata nella composizione successiva, che ci presenta una rappresentazione distopica, in cui si prefigurano situazioni negative nei tempi a venire, con la prospettiva apocalittica che la «notte… continui, eterna». Su Tramonto, questo il titolo della poesia in oggetto, si sofferma Enzo Concardi nella sua acuta prefazione, parlando di «presagi di un declino della nostra specie».
La seconda sezione della silloge è dedicata alla Fede. Ritornano le tematiche che già si sono affacciate prima. Il superamento del solipsismo, questa volta in virtù della fede; la presenza dell’Altro, inteso naturalmente come Dio; l’entusiasmo che qui accende la fede, come precedentemente aveva accompagnato e favorito le scoperte dell’uomo di scienza; qui la poesia si fa in alcuni casi corale, assumendo movenze da inno sacro, come in Grandi Destini, dove infatti il soggetto è «noi», e ci sono osservazioni interessanti come quella contenuta nella terzultima strofe, in cui si evince che i beni spirituali, a differenza di quelli materiali, se condivisi aumentano invece di diminuire e dove si sottolinea la importanza delle piccole cose di ogni giorno, giacché «in piccole cose nascosto / è ciò che cerchiamo»; e quindi è importante anche «un dono inatteso a qualcuno, / conforto a un bambino sbucciato, / sorrisi a chi grigia la vita trascorre».
In Vaga il mio sguardo c’è il richiamo all’attenzione, negata agli ultimi solitamente a causa dell’egoismo dei ricchi, e comunque della gente tutta presa dalla quotidiana lotta per la vita, la struggle for life di cui parlava Darwin. Qui il tono si fa cupo nel prevedere, minacciare quasi, la fine che per tutti è una: «finché morte e rovina / non sarà». Ma l’ode termina con una pacificata invocazione alla Vergine, istituendo l’equazione cuore puro/felicità. La consolante certezza di aver fatto le cose giuste, di aver «messo a frutto» i doni ricevuti, addolcisce quel vero e proprio consuntivo di una vita che è Futuro. La sezione Fede si chiude con Requiem; come a dire che la poesia è il suo modo di pregare.
Ed è proprio Poesia il titolo della terza parte, in cui Righi si conferma cantor rectitudinis: cantore della sanità morale e della gioia che sa dare la coscienza del dovere compiuto. Anche qui tornano i temi sapienziali cari alla sua meditazione (il valore della vita umana negata dagli «scafisti» (Meteora), le gioie della famiglia e della maternità, l’importanza dell’aiuto vicendevole e dello «spendersi» (Maternità) per l’altro come san fare i binari, che, a differenza dei semplici «turisti», «si son consunti nell’esser d’aiuto» (Binari); mancano invece composizioni prettamente metapoetiche, eccezion fatta per l’iniziale Casa. Chiudono il libro le pagine dedicate agli Atti di Vangelo, che contengono, come osserva opportunamente il prefatore, «ricostruzioni lirico-narrative di episodi del Nuovo Testamento in cui l’autore affida a un personaggio presente il racconto – con un linguaggio corrente, sobrio e dimesso – di ciò che ha visto».
Fabio Dainotti