Grande successo per lo spettacolo ideato e scritto da Lella Costa in una performance a favore delle donne e dell’universo femminile
Splendida come sempre non si smentisce mai. Lella Costa è attrice a tutto tondo, porta avanti da qualche anno questo suo spettacolo che celebra letteralmente le donne, quelle nello specifico, che sono entrate nella storia per essersi contraddistinte per il loro saper fare, per aver inventato qualcosa, per aver ricoperto ruoli anche tradizionalmente appannaggio del “sesso forte”, ma soprattutto è la storia di donne “valorose” di cui non s’è mai sentito parlare e che la storia l’hanno fatta per davvero, anche loro.
Donne che hanno avuto forte carisma, che hanno segnato diverse epoche e che nella maggiorparte dei casi, il grande pubblico probabilmente neppure conosce. “Se non posso ballare… non è la mia rivoluzione” oltre ad essere la famosa citazione della filosofa e anarchica Emma Goldman, è proprio il titolo di questo originale spettacolo che si è svolto al teatro Donizetti di Bergamo. Spettacolo liberamente ispirato al libro: “Il catalogo delle donne valorose” di Serena Dandini per un progetto drammaturgico di Serena Sinigaglia – che ne cura anche la regia – con la scrittura scenica della stessa Costa e di Gabriele Scotti.
Una performance che si snoda tutto d’un fiato in un monologo di cui la Costa è maestra indiscussa ed indiscutibile. Lo fa con il consueto cipiglio e garbo di chi intende valorizzare “il gentil sesso”, perché lo merita e per renderlo protagonista assoluto “a dispetto” di quegli uomini che mai avrebbero creduto che “l’altra metà del cielo” sarebbe potuta arrivare sino a tanto.
Ed allora in una sorta di “gran cerimoniere” la Lella nazionale introduce in un’ideale salone da ballo, e li fa ballare, Mary Anderson, ovvero colei che ha inventato il tergicristallo delle automobili, poi è il turno di Maria Telkes e dell’architetto Eleanor Raymond che hanno invece ideato i pannelli solari. Chi l’avrebbe mai detto…
Poi ci sono il Nobel per la Fisica Marie Curie – forse già più conosciuta – ed Olympe De Gouges che scrisse la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”. Un centinaio di nomi di donne – una al minuto per il tempo in cui si svolge la narrazione – che provengono da tutti i paesi del mondo e che fanno la loro comparsa sulla scena attraverso un display che gli spettatori possono vedere direttamente su un palcoscenico di cui mattatrice è solo ed unicamente lei: Lella Costa. Quest’ultima cita anche Monica Vitti scomparsa poco tempo fa di cui cita una frase divenuta famosa: “Dicono che il mondo è di chi si alza presto. Non è vero. Il mondo è di chi è felice di alzarsi” e dove l’applauso scatta spontaneo da parte del pubblico che si diverte a scoprire gli aneddoti che ci stanno dietro ad ognuna di loro.
C’è spazio anche per la prima donna a divenire ministro della Repubblica come Tina Anselmi, la scienziata Rita Levi Montalcini, Teresa Mattei giovane e coraggiosa partigiana diventata la più giovane rappresentante all’interno dell’Assemblea Costituente. Ed ancora Tina Modotti la fotografa guerrigliera, la giornalista Ilaria Alpi morta in Somalia nel ‘94 che aveva scoperto un traffico di rifiuti tossici e di cui non s’è fatta ancora giustizia.
E’ un susseguirsi di nomi che entrano in scena una dopo l’altra senza soluzione di continuità con una canzone, una smorfia, una citazione appunto, oppure una strofa, un ricordo, una battuta, tramite cui si sono fatte conoscere in qualche modo, anche se ai più forse dicono poco o nulla. Ebbene, la Costa è brava a ravvivarle facendole ballare, muovendo le vesti. Ed anche la Costa non disdegna il ballo narrando lungo le note di “Pata, pata” di Miriam Makeba, una danza tradizionale del Sud Africa (il cui significato è “tocca tocca”) e dove racconta la vicenda di questa donna irriducibile contro l’Apartheid.
La Costa in questa “formidabile settimana bergamasca” come ha detto a fine spettacolo, applauditissima, è veramente “un fiume inarrestabile di storie e di gesti” che vuole soltanto restituire la dignità ad un universo femminile che ha contribuito veramente al progresso dell’umanità e senza cui non se ne può fare assolutamente a meno.