La vita di un attore si consuma sulla scena e sulla scena anela a concludersi, offrendo l’ultimo spettacolo di sé.
La commedia di Ronald Harwood propone il tema della vanità dell’attore e del timore di uscire di scena dopo una carriera di successi, lenito dalla forza taumaturgica che il teatro esercita sul dolore.
Nell’Inghilterra del 1940, in pieno conflitto mondiale con le città colpite dai bombardamenti aerei nazisti, molti teatri sono stati distrutti e molti attori sono al fronte. Una compagnia teatrale esorcizza i traumi bellici intrattenendo il pubblico col repertorio di Shakespeare, anche mentre le sirene incitano la popolazione a raggiungere i rifugi antiaerei.
Il vecchio capocomico Sir Roland, capriccioso e dispotico, vuole caparbiamente recitare poiché non trova altro sbocco alla sua vita, nonostante le resistenze della moglie Milady che lo esorta al riposo perché stanca di quella vita errabonda e dei costumi rattoppati odoranti di naftalina. Funge da consigliere, suggeritore e prezioso tuttofare il servo di scena Norman, da anni vigile e pronto a soddisfare ogni necessità e capriccio. La rigida e austera direttrice di scena Madge lo segue da vent’anni, segretamente innamorata e rassegnata a vivere di riflesso.
Scritta nel 1979, la pièce descrive il dietro le quinte dell’ultimo giorno dell’attore narcisista e stanco, che il servo di scena accudisce e sostiene motivandolo tenacemente: gli fa indossare i costumi di scena, gli suggerisce le battute, lo esorta a non truccarsi da Otello poiché quella sera deve recitare Re Lear.
L’attore non può privarsi di tale supporto e il factotum non può rinunciare a fornirglielo, illudendosi di realizzare il segreto desiderio di calcare il palcoscenico. Il seduttore invecchiato ha qualche sussulto con la giovane attrice Irene mentre il servo di scena è espressione di un attaccamento tenace e irrazionale.
Sir Roland, pur vinto dagli anni e frastornato dai diversi ruoli, non si sottrae al richiamo del palcoscenico che lo aspetta oltre il retropalco dove avviene la vestizione e sarà di nuovo un successo, tutti parleranno di lui e Norman, Miledy e Madge continueranno a ruotare nella sua orbita.
Il teatro è la vita, la vita è il teatro.
Geppy Gleijeses
dà a Sir Roland la potenza evocativa della recitazione come impellenza vitale per chi si nutre della linfa dell’arte teatrale, tanto più significativa in questi nostri tempi che hanno imposto lunghe interruzioni a questa espressione artistica. Acquisisce maestosità mentre si trucca trasformandosi dal piagnucoloso capocomico in preda a una crisi di nervi nel solenne Re Lear e, intanto, Maurizio Micheli agisce come un folletto scaltro e malinconico che ne sostiene con incessante ironia l’animo fragile.
Dopo l’ultimo atto Sir troverà l’eterna quiete e Norman nel suo libro di memorie tra i ringraziamenti inutilmente cercherà il proprio nome. Talento e ingratitudine.
Pragmatica ed elegante è Lucia Poli nel ruolo di Milady, unico personaggio consapevole della necessità di ritirarsi prima di cadere nel ridicolo. Roberta Lucca, Elisabetta Mirra, Agostino Pannone e Antonio Sarasso gli altri interpreti.
Molto suggestiva la scenografia che ambienta l’azione nel camerino, oltre il quale si muovono le ombre cinesi della rappresentazione di Re Lear, con gli attrezzi di scena che gli attori utilizzano per produrre i rumori della tempesta.
La regia di Guglielmo Ferro rende omaggio al padre Turi Ferro nel centenario della nascita, che interpretò il ruolo di Sir Roland in un’edizione diretta dallo stesso regista.