Non sarà facile dimenticare il debutto capitolino di Káťa Kabanová, capolavoro del Novecento di Leoš Janáček in scena per la prima volta al Teatro Costanzi nel geniale allestimento di Richard Jones in coproduzione con la Royal Opera House Covent Garden di Londra e giustamente premiato con l’Olivier Award nel 2019 (come miglior nuova produzione d’opera).
Un successo di pubblico che coincide anche con il primo impegno pubblico del nuovo sovrintendente del Teatro, Francesco Giambrone.
L’allestimento di Jones appare genialmente riuscito nella sua rigorosa semplicità che si traduce in un’essenzialità anche estetica. “L’allestimento di Káťa Kabanová è stato ideato con l’esigenza di rappresentare il fatto che il personaggio centrale, che è una donna di grande visione e di grande immaginazione – il commento del regista – sia tragicamente collocato in un luogo che è molto di routine, degradato. È un mondo che, in realtà, non è molto bello, ma anzi un po’ primitivo”. E il mondo moralmente primitivo dell’opera tratta dal dramma Grozá (L’uragano) di Aleksandr Ostrovskij nella traduzione in cèco di Vincenc Červinka, si presenta agli occhi del pubblico in una riuscita ambientazione che richiama esplicitamente gli anni Settanta (anche nei colori delle scene dei costumi di Antony McDonald) spostandosi tra l’esterno e l’interno dell’abitazione di Káťa, la sui effigie da bambina apre lo spettacolo, e la pensilina che offre riparo ai personaggi durante la tempesta.
La divisione insanabile fra Kat’a e il resto della società è subito enfatizzata all’inizio, con la protagonista collocata da un lato della scena, nella sua libertà e nella sua solitudine, ma giudicata dal resto dei personaggi, la società che la osserva spietatamente senza possibilità di perdono.
La regia di Jones accompagna con rigorosa essenzialità, a tratti didascalica, anche nei movimenti in scena, tutta la vicenda, una storia tanto tragica quanto semplice. Decisive le luci Lucy Carter a sottolineare l’andamento della storia, tanto nei pochi momenti di libertà Kat’a quanto nella dolorosa e oppressiva vita provinciale in cui cerca di sopravvivere. La fragilissima Kat’a, vittima della società e di sé stessa è interpretata da una superba Laura Wilde nell’ultima replica del 27 gennaio (Corinne Winters, Madama Butterfly al Circo Massimo questa estate ha interpretato il ruolo in tutte le date): una voce potente che lascia il segno quella del soprano americano che si cala perfettamente nel ruolo della sventurata Kat’a, modulandone gli stati d’animo anche con una convincente prestazione attoriale. Terribilmente riuscita anche l’insopportabile e oppressiva suocera Marfa Kabanová di Susan Bickley.
Convincono le interpretazioni di Julian Hubbard, il debole marito, Tichon Kabanov e già acclamato Cassius nel Julius Caesar di Battistelli, di Charles Workman, l’amante Boris Grigorijevič, anche lui indeciso, il Dikoj di Stephen Richardson. Figure di miseri uomini che appaiono molto ridimensionati rispetto alla protagonista. Brillante la coppia della superficiale e vitale Varvara di Carolyn Sproule e del Kudrjáš di Sam Furness. Il maestro David Robertson sul podio dell’Orchestra del Teatro dell’Opera, esperto del repertorio e che ha lavorato spesso con l’Orchestra d Brno, si riserva una direzione musicale che enfatizza efficacemente ogni singolo strumento e tensione emotiva dell’articolata e delicata partitura.
Sempre ben preparato il coro diretto da Roberto Gabbiani.
Fabiana Raponi