Un conflitto sociale e generazionale a tutto tondo è il cuore della Luisa Miller di Giuseppe Verdi, melodramma tragico in tre atti, con la regia di Damiano Michieletto in scena al Teatro dell’Opera di Roma (repliche fino al 17 febbraio) che ha segnato anche il debutto come Direttore Musicale del lirico capitolino di Michele Mariotti. Un binomio che funziona alla perfezione per uno spettacolo di successo, acclamato da critica e pubblico che arriva finalmente con le scene e il pubblico in sala dopo l’esecuzione in streaming e in forma di concerto dello scorso anno affidata proprio alla bacchetta di Mariotti. Il giovane direttore, che ha anticipato di qualche mese il suo nuovo incarico, coadiuvato anche dalla prova dell’Orchestra del Teatro, ha padroneggiato la partitura verdiana facendone risaltare i colori e le varietà timbriche in ogni elemento drammaturgico dal più tragico al più commovente, ma riuscendo a mantenere sempre una certa coerenza che ha regalato unità all’opera, restituendone la sua bellezza.
“Luisa Miller è un’opera che ha sempre attirato la mia sensibilità interpretativa per la sua evidente cifra belcantista – il commento di Mariotti sull’opera – le sue varietà timbriche che determinano profonde oscillazioni di stato d’animo, unite al sempre acuto scavo psicologico con cui Verdi scolpisce ogni personaggio. Questi elementi rendono la partitura ricca di una bellezza che merita ogni volta di essere riascoltata e in qualche modo riscoperta”.
L’allestimento dell’Opernhaus Zürich con la regia di Damiano Michieletto, presenza consolidata all’Opera di Roma, qui ripresa da Andrea Bernard, rilegge in chiave di conflitto l’opera.
“Abbandonati i personaggi storici, i grandi drammi corali, Verdi si concentra sulla dimensione più piccola della famiglia – commenta Michieletto che si affida alla consueta e collaudata squadra di collaboratori – Luisa Miller è un dramma familiare, il conflitto padri-figli è il cardine. Ho cercato di svilupparlo nello spazio scenico, che presenta due facce della stessa realtà. Due facce apparentemente diverse, data la differenza sociale delle due famiglie, ma identiche nella sostanza”.
La dicotomia dello scontro è subito sotto l’occhio del pubblico attraverso le didascaliche scene in grigio di Paolo Fantin con le luci di Alessandro Carletti.
La scena è unica, ma divisa verticalmente a metà in due piani ben distinti da un ininterrotta luce a led: nella parte superiore, le alti pareti rappresentano l’aristocrazia e riproducono il palazzo del conte, con gli stucchi lavorati, le lampade accecanti, le eleganti sedie in velluto rosso. La parte inferiore indica lo stato sociale inferiore, la borghesia, in un ambiente decoroso, ma modesto con i mobili semplici, dal letto alle sedie di legno alle luci basse. Il conflitto sociale però è costantemente sotto gli occhi del pubblico, ma prende vita non solo attraverso una pedana girevole dove si ricostruiscono via via i diversi ambienti, ma anche attraverso una serie di praticabili e pedane che contribuiscono a creare spazi e volumi al centro della scena cosicché nella sua complessità tutto appare estremamente semplice e naturale. La rilettura di Michieletto appare in tal modo meno rivoluzionaria rispetto ad altre esperienze concentrandosi soprattutto sul conflitto sociale a cui si lega un conflitto generazione fra padri e figli. Il regista, sempre attento alla recitazione dei cantanti, raddoppia in qualche modo la presenza di Luisa e Rodolfo con due bambini che popolano quasi costantemente la scena e che reiterano le azioni dei protagonisti. Tutto è ambientato negli Anni Quaranta, come suggeriscono i costumi di Carla Teti che alterna ai semplici vestiti floreali di Luisa, il sofisticato tailleur con collo di pelliccia della Duchessa, dallo smoking del Conte ai modesti abiti di Miller padre.
Il libretto di Salvadore Cammarano tratto da Schiller, verte sull’amore fra Rodolfo, figlio del conte di Walter, e Luisa Miller, figlia di un soldato: un amore ostacolato dal conte padre di lui e dagli inganni del subdolo Warm invaghito della ragazza. Finale tragico con la morte degli amanti per mano di Rodolfo stesso.
Contribuiscono alla riuscita di questo allestimento tutto da ascoltare e vedere, ma anche da riscoprire, anche l’ottima prova del coro diretto da Roberto Gabbiani e un grande cast di voci. Il soprano palermitano Roberta Mantegna, creatura di Fabbrica del Teatro dell’Opera, è praticamente perfetta nel ruolo della protagonista Luisa: mai leziosa, ma ricca di sfumature nella voce e nella recitazione. Accanto a lei, l’ottimo Rodolfo di Antonio Poli, tenore verdiano, commovente, ma al tempo tragico. Il migliore in scena, acclamato dal pubblico, è stato forse il baritono Amartuvshin Enkhbat nel ruolo di Miller padre con un timbro sempre pieno, ricco e potente. Ottime anche le prove di Michele Pertusi, il tremendo Conte di Walter, di Daniela Barcellona, la contessa Federica e del Wurm di Marco Spotti, cui Michieletto riserva una deformità morale che si concretizza anche in una deformità fisica.
Un bel successo per il teatro con il nuovo Sovrintendente Francesco Giambrone e un’ottimo inizio per la direzione musicale di Mariotti.
Repliche martedì 15, ore 20.00 e giovedì 17 febbraio, ore 18.00.
Info e dettagli su operaroma.it.