Andar via
, la raccolta di poesie del poeta sardo Pasquale Ciboddo che prendiamo in considerazione in questa sede presenta una prefazione di Maria Rizzi centrata, esauriente e ricca di acribia.
Il volume non è scandito e per la sua unitarietà formale, stilistica, contenutistica e semantica potrebbe essere considerato un poemetto.
Come scrive la prefatrice, Ciboddo ha riassunto nel titolo l’essenza di una silloge dal raro tessuto strutturale. Non poteva esistere altro titolo per questa raccolta che, come lampo, squarcia le tenebre che ci avvolgono, e illumina il passato, il presente e inevitabilmente il futuro e il nostro Autore inizia il suo viaggio dai tempi del Secondo Conflitto e il filo rosso espresso da Pasquale sintetizza un’amara verità di valore universale: il rapido dissolvimento dell’esistenza e delle illusioni umane.
Pare che queste osservazioni partono dalla coscienza dell’esistenza possibile dell’attimo heidegeriano, liberatorio come salvifico momento della vita nel suo fermare il tempo stesso e proprio da qui sgorgano dalla ferita i versi.
La cifra essenziale di questa silloge pare essere la riflessione costante sull’hic et nunc della condizione umana a partire dalla riflessione proprio sul tempo che è il limite della vita biologica e sottende la morte; infatti non a caso in È meandro d’impatto leggiamo: «È la somma / di tutti i momenti / di vita vissuti. / Scomparire / in curve impensate / è il destino crudele / mai immaginato / da ogni nato…». Tuttavia non è assolutamente un gemersi addosso quello che esprime l’autore ma la consapevole ferma idea che si può superare il mare magnum di un quotidiano che dà scacco e che ci si possono ritagliare spazi per la gioia e l’ottimismo anche se veniamo dal nulla e andiamo verso il nulla a meno che non ci sia un’uscita religiosa, ma di questa non si parla.
Quanto suddetto è confermato da accensioni nelle poesie che potrebbero essere considerate neo liriche come si legge negli splendidi versi: «… / È il Sole / l’orologio infallibile / dell’incedere lento / delle stagioni…» (È il sole).
Così il tempo stesso si riscalda e s’illumina e anche se dura poco si avvera la sensazione di abitare poeticamente la terra.
Una vena gnomica e apologica connota i componimenti che procedono tramite una parola sempre chiara, immediata e detta con urgenza, raffinata e ben cesellata che ha una forma vagamente epigrammatica.
In un panorama letterario dominato dagli sperimentalismi è controtendenza la scrittura di questo poeta immediata e di grandissima leggibilità anche se sottende un fascino e la complessità è da riscontrarsi non nei tessuti linguistici ma nelle ragioni teoriche complesse che sono fondanti e sono a monte del discorso di Ciboddo che crea versi che sono espressioni di un pensiero profondo e di un’avvertita e intelligente coscienza letteraria.
E il poeta ha la capacità di stupirsi nella linearità dell’incanto per scenari di squarci naturalistici fantastici, di naufragare leopardianamente nell’infinito anche se l’incedere del tempo inesorabile è assenza.
Raffaele Piazza