Una vita trasognata, una nascita mitizzata, un’amicizia totalizzante.
Fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, quattro amici che non sono stati generati da una madre, legati dalla passione assoluta per una squadra di calcio, provano a ricomporre le loro vite liberandole dai brutti ricordi.
Si soprannominano Pinocchio, Adamo, Golem e Frankenstein. Pinocchio è Pino il narratore, un burattino di mezz’età sudamericano, che di tanto in tanto si ricorda di avere la testa di legno. Seduto su una poltrona inizia a raccontare una storia fantastica, di esseri senza tempo che faticano a vivere nel presente e numeri magici e allegorici. È andato in Uruguay col padre in cerca di fortuna e ha fatto amicizia con gli altri ragazzi e sono gli unici quattro al mondo a non essere stati partoriti da una donna. L’amicizia e la fede calcistica è il collante che dà senso alle loro semplici esistenze e li fa sentire liberi e amati, avvolti nella loro folle passione, illuminati dall’azzurro della maglia che allo stadio ogni domenica diventa un marchio di identità. Folli e visionari e soprattutto unici, forti della loro unicità
La materia di cui sono fatti è semplice come il pane, ma la domenica sono travolti da una passione furiosa che li immerge nei ricordi di sconfitte e vittorie che hanno costellato la loro vita di tifosi. Riescono a sopravvivere a tutte le farneticanti tragedie stringendosi in un abbraccio indissolubile per esorcizzare la nostalgia e alimentare i sogni, gioendo delle vittorie, dei gol, dei rigori avvolti da un’euforia incoercibile. Quando il loro mondo si sgretola tra tragiche vicende e conflitti tenteranno di ricomporlo alla loro maniera, fuori dalle convenzioni, sempre accompagnati dalla follia e dalla musica che tutto catalizza, consumandoli fino a guizzi deliranti.
La drammaturgia è intessuta di ricordi e musica su cui aleggia l’azul del titolo, l’azzurro della squadra di Montevideo che la domenica avvolge le loro vite, fagocitandoli e risucchiandoli in una magia delirante e traboccante di emozioni. La violenza che si intuisce sia avvenuta durante una partita mandando qualcuno in ospedale, si stempera nel virtuale caldo abbraccio dello stadio.
Le musiche sono suonate dal vivo da Luciano Scarpa, Sasà Piedepalumbo e Luigi Sigillo alla fisarmonica, piano e contrabbasso, con una rappresentazione di autentica clownerie che esplora gli stati emotivi e rispecchia la formazione circense e la vocazione alla contaminazione dell’autore Daniele Finzi Pasca. Nel ruolo di Pinocchio Stefano Accorsi, brillante e catalizzante saltimbanco: “Daniele scrive in modo tridimensionale, bisogna letteralmente entrare nel suo mondo per abitarlo e viverlo, sentirlo senza voler spiegare ogni cosa. Personaggi veri e al tempo stesso trasognati, clown toccanti e divertenti nei quali ci si riconosce tantissimo tutti”.
L’autore e regista dichiara: “Ho sempre raccontato storie di personaggi carichi di umanità, fragili e trasognati. Il mio teatro è costruito riproducendo il linguaggio dei sogni. Cerco di costruire immagini rarefatte. Amo i colpi di scena, i finali a sorpresa, le macchine teatrali, la magia e l’illusione. Sono cresciuto nel mondo del teatro e poi sono stato rapito dai grandi eventi: spettacoli monumentali per il Cirque du Soleil, Cerimonie Olimpiche. Credo siano clown i personaggi che popolano le mie storie. Sono fatti di cristallo, di burro e di zucchero e con un colpo di vento si trasformano in giganti”.
Nel finale, mentre i quattro amici si scatenano contemporaneamente sui tasti del piano, la catarsi passa attraverso la platea che si identifica con lo stadio cantando l’inno della squadra, illuminata e inondata di coriandoli nella grande festa collettiva.
Gli artisti tornano a ricevere l’applauso avvolti nella bandiera della pace testimoniando il desiderio che tutti ci attraversa in questo complicato momento.