di Ira Levin
regia di Marco Lombardi
con Margherita Tiesi, Laura Bozzi, Aldo Innocenti e Niccolò Migliorini
assistente alla regia Sandra Bonciani
musiche di Stefano De Donato
costumi Fiamma Mariscotti
scenografie Lorenzo Scelsi
disegno luci Silvia Avigo
foto di scena Enrico Gallina
Quello andato in scena lo scorso fine settimana al Lumière di Firenze è uno spettacolo raro, insolito. Eppure la sala è stata piena per tre giorni consecutivi ed è in programma una nuova replica sabato prossimo a Tavarnelle. Non se ne vedono spesso, a teatro, di storie come La stanza di Veronica, forse perché quella di Ira Levin è una scrittura quasi cinematografica, che mette alla prova la regia più di quanto non lo facciano tanti classici della drammaturgia.
Se Rosemary’s baby, l’opera più nota di Levin, da cui è tratto l’omonimo film di Roman Polanski, è un romanzo, La stanza di Veronica nasce in realtà proprio come opera teatrale. E dell’opera teatrale rispetta tutti i canoni, svolgendosi integralmente, per buona pace di Aristotele, tra le quattro mura di una camera da letto. Quattro figure ad abitarla: una ragazza (Margherita Tiesi), un ragazzo (Niccolò Migliorini), una signora (Laura Bozzi) e un signore (Aldo Innocenti). Così da copione, senza i nomi propri che, presto o tardi, verranno rivelati dagli stessi protagonisti.
Dopo un inizio cauto, sull’orlo dell’inciampo, lo spettacolo gradualmente accelera i suoi ritmi, marciando e poi correndo, in un crescendo di tensione che coglie il pubblico impreparato. Tanto che l’intervallo, che abilmente mozza il climax ascendente e insieme il fiato dello spettatore, risulta indispensabile prima, insopportabile poi, quando l’attesa rischia di smorzare il pathos.
Piccole incursioni registiche interrompono per qualche frazione di secondo il continuum narrativo, marcando una scansione del tempo che adatta la cronologia alla psicologia e accresce ancora di più la tensione.
D’altra parte c’è chi nell’opera di Ira Levin ha ritrovato la suspense di Alfred Hitchcock, chi il gotico affusolato di Shirley Jackson, fino a collegare la sua prosa con tutta quella letteratura contemporanea che avvicina il giallo al fantascientifico. Qualunque sia il filone in cui si voglia inserire il suo autore, La stanza di Veronica è un thriller piscologico che resta saldamente nell’ambito del verosimile, pur spingendolo all’estremo. Un thriller che porta il pubblico a mettere in dubbio le proprie certezze, a cercare invano una traccia, un indizio, un appiglio a cui aggrapparsi per risolvere l’enigma. Non c’è, però, nessun riflesso da scovare nello specchio, nessun particolare sfuggito alla nostra attenzione. C’è un meccanismo perverso e perfetto che muove una mente tanto crudele quanto fragile.
Man mano che la trama si compone, cresce il divario tra gli attori, sempre più credibili, e i loro personaggi, sempre più sospetti; tra l’intensità interpretativa delle attrici e l’ambigua personalità delle protagoniste, tra il passato che si svela e il presente che si annebbia. Un puzzle senza figura sulla scatola – come quelli che amava fare Veronica – dove, pezzo dopo pezzo, si disegna un’immagine sempre più complessa e agghiacciante.
La Compagnia Giardini dell’Arte si mette in gioco con un testo diverso: diverso dal suo repertorio e diverso dalla consueta programmazione, affidandosi allo stile impeccabile di Ira Levin. La regia curata da Marco Lombardi rivela ancora una volta una grande capacità di ascolto, ponendosi come primo interprete e primo ponte tra lo spettatore e l’autore, a cui rimane fedele, non senza un azzeccato taglio personale. Con piccoli accorgimenti scenici, infatti, Lombardi avvicina la drammaturgia teatrale a quei ritmi cinematografici con cui Levin sembra confrontarsi e che sul palco sono trainati dalla fresca interpretazione di Margherita Tiesi e da una meravigliosa, a tratti glaciale, Laura Bozzi.
Lo spettacolo sarà ancora in scena alla Sala Teatro MCL di Tavarnelle Val di Pesa in via Roma, 121
Prenotazioni ai numeri 3341338572- 0558077236 o all’indirizzo direzioneartisticateatromcl@gmail.com