Qualche giorno prima di Pasqua eravamo all’Arena del Sole di Bologna per la visione di ENIGMA. Requiem per Pinocchio, l’ultimo lavoro di Teatro Valdoca. Lo spettacolo, che ha debuttato la scorsa primavera al Teatro Bonci di Cesena, è nato da una ricerca artistica di due anni intorno alla figura di Pinocchio.
Unico avvertimento, dimenticare Collodi e lasciarsi andare ad un viaggio immaginario e immaginifico nei meandri della natura umana.
Abbiamo provato ad unire i pensieri e gli spunti scaturiti intorno allo spettacolo e a scrivere una recensione “a quattro mani”. Di seguito il risultato.
M: All’entrata in sala, la finzione è già annullata. Tutto è aperto, illuminato, a vista. Un enorme Pinocchio disteso su una panca riposa supino sotto un lenzuolo al centro del palcoscenico. Una lunga scala a pioli si arrampica fino al soffitto, alla destra del cadavere, una grande lampada di metallo pende alla sua sinistra. Una lunga serie di fari, a fondo palco, punta in direzione del pubblico, griglia minacciosa. Tutt’intorno, quadri, lampade, corde, in un guazzabuglio di attrezzi che sembra suggerire l’ambiente di una bottega, non fosse per il sacrale ambiente circolare che sul pavimento avvolge il corpo del burattino. Scendendo dal palcoscenico, ai lati della platea, musicisti e percussionisti incorniciano la scena, già al lavoro all’entrata del pubblico.
Quando le luci si abbassano, dal lato sinistro del palcoscenico, a torso nudo e con una grande gonna, Matteo Ramponi entra adagiando sulla struttura che ospita Pinocchio morto (o morente?) quella che si rivelerà essere Chiara Bersani, a sua volta coperta da un lenzuolo.
Non si fa attendere quello che sembra essere il Pinocchio dopo Collodi, un bambino in carne ed ossa, cresciuto eppure ancor legato all’infanzia. Questo Pinocchio androgino, elemento caro alla Valdoca, è interpretato dal corpo espressivo ed erratico di Silvia Calderoni, che indossa la tensione della crescita e della scoperta e che, quasi immediatamente, svela uno dei meccanismi che comporrà lo spettacolo fino alla fine.
E: La voce di Mariangela Gualtieri, seduta dando le spalle agli spettatori in mezzo alla platea vuota e coperta da un telo bianco, si staglia potente “doppiando” la fata/Chiara Bersani. Unica, o quasi, voce narrante, l’intero impianto sonoro (e visivo, per certi versi) risponde a lei solamente.
Chiudono il gruppo di presenze in scena Silvia Curreli ed Elena Gaggio, due figure di nero vestite che contribuiscono a creare dinamismo vocale e fisico, giocando attraverso calibratissimi movimenti e traiettorie: le due sono sempre in reciproco collegamento e detengono la dimensione di contorno, essenziale però per la creazione di una sorta di rito che tutto avvolge.
La dimensione rituale, quasi liturgica del teatro, viene qui messa a servizio del Teatro Valdoca. Elementi scenografici, movimenti, tappeti sonori, figure geometriche, cantilene e micro-azioni sono gli elementi del rito al centro del quale è Pinocchio. La vicenda di Collodi si fa quindi quasi pretesto per sviscerare un’ampia e dettagliata poetica incentrata sull’uomo in quanto fallibile, fragile ma assolutamente capace di amare e sempre alla ricerca del proprio senso nel mondo.
M: Nel paesaggio di ENIGMA, lo spettatore si ritrova immerso in una selva di domande, attraversa con il pensiero e lo sguardo la soglia tra la vita e la morte, tra l’infanzia e la vita adulta, confrontandosi con le domande poste da Bersani–Gualtieri, fata e oracolo, confrontandosi con la violenza del crescere, dell’affrontare il passaggio del proprio sé da burattino a bambino vero, in una lotta continua tra ciò che si è, si vorrebbe essere, e ciò che non si riesce a fare.
Il dolore della lotta punteggia infatti la pièce, una lotta tra le diverse voci che abitano la scena, una lotta tra i suoni che vestono lo spazio e tuonano nelle orecchie degli spettatori, una lotta nell’accecamento letterale e metaforico che viene prodotto agli occhi di chi guarda mentre si osserva il rito di passaggio che si svolge in scena sul corpo di tutti gli interpreti.
E: La distanza spaziale degli spettatori crea un distacco solo geografico, tangibile. Emotivamente, ci si sente parte dello spettacolo stesso attraverso la dimensione rituale. I confini scompaiono per lasciar spazio ad un’astrazione che contribuisce, forse paradossalmente, ad un’inclusiva immersione in quello che è narrato, vissuto e sviscerato sulla scena.
ENIGMA. Requiem per Pinocchio è uno spettacolo che turba, uno spettacolo non di immediata comprensione, che in un’ora e mezza invita a mettere in gioco le proprie convinzioni e credenze, che scava e indaga nell’immenso e confusionario “marasma” che costituisce l’essere umano. Imperfetto, ambiguo, irrisolto. Enigmatico, appunto.