di Tennessee Williams
regia di Marco Lombardi
con Raffaella Afeltra, Francesco Falsettini, Aldo Innocenti, Laura Bozzi, Sandra Bonciani, Lorenzo Bittini, Gianfranco Onatzirò Obinu
assistente alla regia Brenda Potenza
costumi Fiamma Mariscotti
scenografie Silvia Bosio
disegno luci Silvia Avigo
musiche originali Marco Simoni
La compagnia Giardini dell’Arte mette in scena un classico del teatro e del cinema firmato Tennessee Williams, La gatta sul tetto che scotta.
Circondati dalle piantagioni di cotone del padre, i membri della famiglia Pollitt si ritrovano a festeggiare il sessantacinquesimo compleanno proprio di quello che nella versione originale è Big Daddy. Ma nessuno, tanto meno il festeggiato, è davvero in vena di divertirsi: l’ombra della malattia e della morte, l’incombente peso di un’eredità contesa, le relazioni incancrenite e vuote tormentano i personaggi e li imprigionano ognuno nei propri pensieri.
C’è mamma Ida (Laura Bozzi) che si strugge per due amori non corrisposti, quello per il marito e quello per il figlio. C’è Gooper (Lorenzo Bittini) che pensa di meritare un rimborso per l’affetto che gli è mancato. C’è Mae (Sandra Bonciani) che pensa di meritare tutto, perché tutto ha sempre avuto. C’è papà Pollitt (Aldo Innocenti) che l’amore lo confonde con altre cose. C’è Brick (Francesco Falsettini) che dall’amore è sommerso, ma non se ne fa di niente, perché l’unico che voleva è stato sporcato. E poi c’è Maggie la gatta (una meravigliosa Raffaella Afeltra), prosciugata dalla passione per un uomo che non la vuole, carica di veleno per chiunque si metta in mezzo, capace di un’astuzia così ingenua e risoluta da provocare un misto di ammirazione e tenerezza.
Tutto avviene – o non avviene – nella stanza di Brick e Maggie, tra mura troppo poco spesse e l’odore del whisky. Qui si articolano dialoghi che assomigliano a monologhi, con interlocutori freddi, frasi spezzate e ipocrite cortesie. La gatta sul tetto che scotta è un dramma dove non si cerca mai la verità: ci si inciampa sopra per sbaglio, urtando qualcuno nella caduta e imprecando contro sé stessi, indecisi se aiutare il malcapitato a rialzarsi o infierire su di lui.
Ma si sa, i gatti cadono sempre in piedi, e così Maggie è l’unica a non farsi male. Forse perché ha già l’anima straziata e l’orgoglio accartocciato, o forse perché, nonostante questo, continua a fare le fusa, a graffiare e a soffiare, muovendosi sinuosa senza mai lasciarsi toccare.
Sul tetto dei Giardini dell’Arte, anche quando ci si scotta, si rimane composti, in una messinscena che dipinge quadri perfettamente incorniciati, talvolta di una regolarità geometrica. E dentro questa cornice gli interpreti creano scenari ordinati, in un contrasto drammatico con lo smarrimento dei protagonisti.
Foto di scena di Enrico Gallina e Marco Frati