Torniamo a Caracalla
è il claim del felice ritorno della stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma che dopo due anni di trasferimento forzato al Circo Massimo, che pure aveva il suo fascino, si riappropria dei monumentali spazi archeologici e venerdì 1° luglio apre il cartellone con Mass, capolavoro di Leonard Bernstein al debutto assoluto in Italia come realizzazione scenica.
Una messa in scena di lusso per questo difficile pezzo teatrale per cantanti, musicisti e ballerini, repliche domenica 3 e martedì 5, sempre alle ore 21, affidata alla visione del regista Damiano Michieletto, habitué al Costanzi, al debutto a Caracalla.
A coadiuvarlo, il consueto gruppo di lavoro formato da Paolo Fantin per le scene, Carla Teti per i costumi, Alessandro Carletti per le luci.
Sul podio, per il suo debutto con la fondazione capitolina con l’Orchestra del Teatro, il direttore d’orchestra Diego Matheuz, tra i più popolari musicisti figli de “El Sistema”, modello didattico-musicale fondato in Venezuela da José Antonio Abreu.
Protagoniste di Mass, ricca opera teatrale sperimentale, che si basa sulla Messa tridentina della Chiesa cattolica romana, sono impegnate tutte le compagini del teatro, dall’Orchestra al Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma, diretto da Eleonora Abbagnato, con le coreografie di Sasha Riva e Simone Repele, dal Coro diretto da Roberto Gabbiani alla Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma, i talenti di “Fabbrica” Young Artist Program, senza dimenticare Markus Werba, nel ruolo del sacerdote e l’Orchestra Street People Chorus formato da cantanti da musical.
«Non avevo mai lavorato a Caracalla – la parole di Michieletto – e sono felice di farlo con uno spettacolo che vede impegnate tutte le forze dell’Opera di Roma, con una forte presenza coreografica e quindi del Corpo di Ballo. Al centro della scena ho inserito un muro, e ci sarà anche una videoproiezione con una mappa di tutti i muri che sono stati costruiti nel mondo per dividere i popoli: dal Messico alla Palestina, passando per l’Ungheria. Chi deve difendere la propria ricchezza erige muri. Ma i muri li portiamo anche dentro di noi: sono le nostre paure, i nostri pregiudizi, rappresentano l’impossibilità di comunicare, la volontà di sottrarre agli occhi quello che c’è dall’altra parte, per chiudersi nelle proprie sicurezze».
Per la prima assoluta teatrale di Mass in Italia, dove è sempre approdata in forma di concerto, Michieletto pensa a un muro divisorio e al di là del tempo e dello spazio, ma occhieggiando a un certo ottimismo finale con la speranza di poter abbattere ogni muro divisorio.
«Ho trovato da subito Mass un’opera incredibile, perché non è la solita opera classica, ma racchiude delle forme d’arte genialmente mixate da Bernstein – c’è il ballo, c’è il canto, ma non lirico, degli street singers spesso impegnati nei musical – spiega Simone Repele – Non si tratta di una messa classica come ci si potrebbe aspettare, ma si racconta soprattutto delle divisioni fra le persone, ma anche di un messaggio di speranza fra noi».
Molto turbolenta la genesi, seguita perfino dall’FBI, di Mass, che risentì del clima politico circostante: l’opera, si basa interamente sulla Messa tridentina della Chiesa cattolica romana. Poche le libertà: nel libretto vengono aggiunti dei frammenti liturgici in latino, eccezion fatta del Sanctus che comprende versi in ebraico, ma ci sono anche dei testi aggiuntivi in lingua inglese firmati da Bernstein, da Stephen Schwartz e Paul Simon. Mass, letteralmente messa, era un pezzo inizialmente commissionato da Jacqueline Kennedy, vedova del Presidente che debuttò al Kennedy Center (John F. Kennedy Center for the Performing Arts) di Washington D.C. l’8 settembre del 1971 in occasione della sua inaugurazione.
Una prima boicottata però dal Presidente Nixon e considerata come un vero e proprio atto d’accusa contro le violenze e la guerra in Vietnam.
«Come coreografi siamo abituati alla scelta di tutto, ma in questo caso ci siamo dovuti mettere al servizio delle altri arti – conferma Sasha Riva – mettere al servizio degli altri. Abbiamo cercato di mantenere il nostro stile e le nostre sfumature, ma ovviamente adattarle a ciò che il regista richiedeva per quel momento».
Nella coreografia anche due ballerini principali che hanno una storia principale nella vicenda e «noi li abbiamo identificati come Bernstein e la moglie: è come se ci fosse una storia nella storia – conferma Riva – Magnifico lavorare con ballerini abituati allo stile classico e abbiamo cercato di abituarli al nostro stile».
Decisamente eclettica la partitura che include una «banda rock, una banda blues, strumenti che normalmente non solo in Orchestra – conferma Matheuz – e io credo che Bernstein, mettendo insieme tutti questi elementi voleva far capire che non esiste realmente una differenza fra musica classica, jazz e rock, ma c’è una differenza fra la buona e la cattiva musica. Dentro la musica c’è sempre qualcosa di spirituale e alla fine di quest’opera andremo a casa felici e sollevati».
Dopo la prima di venerdì 1° luglio e le repliche di domenica 3 e martedì 5, sempre alle ore 21, la stagione estiva di Caracalla prosegue con la ripresa della Carmen di Bizet con la regia di Valentina Carrasco, dal 15 luglio al 4 agosto, il balletto Notre Dame de Paris di Petit dal 21 luglio al 3 agosto, Il barbiere di Siviglia di Rossini nella versione hollywoodiana di Lorenzo Mariani, dal 2 al 9 agosto. Spazio ai due extra, il triplo appuntamento del Roberto Bolle and Friends, il 12, 13 e 14 luglio e il violinista David Garrett, il 25 luglio. Info e dettagli su operaroma.it.
Fabiana Raponi