Che succede quando uno spirito ribelle ne incontra un altro? Due spiriti di pacifica contestazione, di poetica imprecazione, di romantico cinismo? Lo scoprirà il pubblico di Firenze stasera, al Teatro Romano di Fiesole, come l’ha scoperto e apprezzato il pubblico di tante altre città italiane all’interno di un tour delirante e delizioso: quello di Roberto Mercadini e Guido Catalano. Scultori di parole raccolte dal vocabolario e dotate di una forma nuova, inconsueta e autentica. Compositori di armonie così semplici da sembrare trasgressive, o forse il contrario. Esploratori capaci di osservare il mondo con occhi nuovi. Come quelli con cui Roberto Mercadini ha risposto alle mie domande.
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Roberto Mercadini è nato a Cesena nel 1978. È narratore, autore, attore, scrittore, poeta e divulgatore. I suoi monologhi spaziano dalla Bibbia ebraica all’origine della filosofia, dall’evoluzionismo alla felicità, dai grandi interpreti della letteratura ai temi sociali (bullismo, ambiente ed ecologia). Nel 2018 esce ‘Storia perfetta dell’errore’ edito da Rizzoli, il suo primo romanzo, oggi alla quinta ristampa. Nel 2019 il Teatro Stabile d’Abruzzo (con la direzione artistica di Simone Cristicchi) produce il suo spettacolo teatrale ‘Vita di Leonardo’, con la regia di Alessandro Maggi. Nel 2020 esce, ancora per Rizzoli, ‘Bomba atomica’, eletto dal concorso indetto da Robinson (inserto culturale della Repubblica) come il Miglior Libro del 2020. Il suo canale canale YouTube è seguito da oltre 160.000 followers. Lo scorso aprile è uscito il libro ‘L’Ingegno e le tenebre: Leonardo e Michelangelo. Due geni rivali nel cuore oscuro del Rinascimento’, sempre edito da Rizzoli.
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Roberto, come ti definisci?
Sono un narratore. Racconto storie in tre forme diverse: il teatro, i libri, e i video che carico sui social.
Quali differenze ci sono nella risposta del pubblico a queste forme di racconto?
L’origine del racconto è la stessa, che però deve modularsi per essere trasmessa attraverso forme diverse. Nel teatro il contatto con il pubblico è immediato ed è parte integrante della performance; chi recita ascolta chi lo ascolta, quindi i ritmi cambiano ogni volta anche a seconda del pubblico che si ha di fronte. Dico spesso che “un monologo si fa insieme”: ecco, in teatro per me è questo. Il libro, invece, riceve la risposta del pubblico soltanto dopo, quando le persone ti incontrano, ti parlano del tuo libro, ti scrivono lettere di ringraziamento… la gratitudine in questo caso arriva con il tempo, quasi come un premio sportivo dopo mesi di allenamento. I video si collocano in una posizione intermedia, perché la reazione del pubblico è in differita rispetto al mio racconto, ma praticamente immediata dopo la pubblicazione. È stata una delle cose più difficili da imparare: recitare da soli davanti alla telecamera, senza nessuno dall’altra parte dell’obiettivo, all’inizio mi faceva sentire matto. Poi, però, ho visto che la risposta del pubblico è arrivata subito, sotto molte forme diverse: affetto, odio immotivato tanto gratuito da essere misterioso, ma anche critiche e osservazioni interessanti. E così nasce un bellissimo dialogo a distanza. Mi è capitato di leggere commenti scritti da esperti di una materia che avevano trovato un’inesattezza in quello che avevo detto, e dunque di correggere il video, oppure addirittura di rifarlo da capo.
E ai commenti più ostili come reagisci?
Mi colpiscono molto. Cerco di capirne le motivazioni, ma spesso sono tanto ostili quanto imperscrutabili. Una volta mi è capitato di ricevere così tanti insulti immotivati che ho deciso di fare un video di risposta. Non c’era un destinatario preciso, volevo solo tentare di smontare quelle argomentazioni, quelle accuse che mi erano state rivolte. E questo mi ha cambiato la vita. Ho pubblicato il video ‘La terra è sferica?’, che è diventato subito virale, e il mio canale YouTube è passato da 5.000 a 25.000 iscritti in pochissimo tempo, con una crescita di 1.000 al giorno (oggi sono 164.000, ndr). Lì ho capito di aver trovato la strada.
È così importante la risposta positiva del pubblico?
Per me è importante condividere quello che scopro, leggo, imparo, studio. Prima ero seguito e coccolato soltanto in Romagna, ma poi andavo fuori e vedevo teatri deserti: era veramente frustrante. Essere conosciuto mi ha permesso di parlare davanti a centinaia di persone un po’ ovunque, di instaurare un rapporto, di monologare con loro. Scoprire qualcosa e tenermelo per me non avrebbe lo stesso sapore.
Perché hai iniziato a raccontare storie?
Sono perseguitato da un demone che probabilmente finirà per condurmi alla follia, o per distruggermi definitivamente: il desiderio di conoscere tutto, sapere tutta la letteratura di tutte le civiltà, tutta la scienza, tutte le religioni… una curiosità costante e incalzante. Ogni tanto mi prende una passione, una mania per un determinato argomento e comincio a studiarlo. Poi, però, questa scoperta non mi soddisfa appieno, perché ho il desiderio di raccontarla agli altri, di condividere il mio stupore, la mia meraviglia, il mio entusiasmo. Questo demone della curiosità per anni si è portato dietro anche due spettri, che mi hanno perseguitato tutta la vita e, a volte, continuano a farlo: l’idea che a nessuno interessasse quello che volevo dire e quella che, anche se le persone fossero state interessate, non lo avrebbe capito, nonostante tutti i miei sforzi. E in effetti c’è sempre chi non è interessato e chi non capisce, però c’è anche una grande, grandissima fetta di pubblico che, quando parlo, mi ascolta e, quando mi ascolta, capisce quello che dico. Penso di essere diventato un narratore per questo, per questa frustrazione infantile e per la soddisfazione di vederla sparire.
Nei tuoi racconti si percepisce chiaramente la volontà, quasi la missione di farti capire. Eppure usi un linguaggio così naturale e spontaneo da non far trasparire la preparazione che c’è dietro.
Se racconti qualcosa cercando di farti capire, è importante rendere semplici e chiare anche le questioni più complesse. La letteratura ci fornisce gli strumenti: la metafora, l’allegoria, ma poi siamo noi a decidere come utilizzarli. Penso che sia difficile seguire una persona che parla in modo asettico, come se non importasse niente neanche a lei. Quando c’è un narratore appassionato e divertito, invece, inevitabilmente ci si appassiona e ci si diverte insieme a lui. Io racconto con l’entusiasmo di chi ha appena scoperto una cosa e per primo è elettrizzato all’idea di conoscerla e condividerla, mentre normalmente – purtroppo – un docente è qualcuno che da lungo tempo possiede una conoscenza e, in un modo spesso rassegnato e annoiato, spiega dall’alto in basso come stanno le cose a chi ne sa di meno. Questo è un atteggiamento naturalmente legittimo, ma che difficilmente cattura l’emozione delle persone. Sono fieramente un eterno ignorante, un perenne principiante: mi interesso di tutto, perciò non sono esperto di niente. Di recente, per esempio, ho spiegato in un video come si riproduce il fico: un’enorme banalità per un agronomo, ma io l’ho appreso soltanto ora e ho voluto condividere l’entusiasmo di averlo scoperto. Un botanico lo sa da vent’anni e meglio di me, e proprio per questo non riesce a essere così emozionato. E poi trasformare una spiegazione in un racconto è qualcosa che funzionerà sempre, perché siamo animali narranti. Siamo fatti per raccontare e ascoltare storie.
Hai mai avuto la sindrome dell’impostore?
No. Ho l’impressione che ci sia un fraintendimento da questo punto di vista: non sono esperto di tutte le materie, la mia è una passione (o forse una persecuzione) che mi piace condividere. Racconto quasi tutto quello che so e so quasi solo quello che racconto.
Cose che non avremmo sperato di potervi dire: perché questo titolo?
Perché, insieme a Guido Catalano, raccontiamo di fortune insperate, per quanto semplici, che ci sono capitate. Come quella di esserci, di stare lì su quel palco, e quella di stare assieme. Per molto tempo ho pensato di essere solo, cioè che non esistessero persone che scrivessero cose simili alle mie e avessero la mia stessa voglia di condividerle con un pubblico. Quando ho scoperto Guido per me è stata una rivelazione.
Come vi siete conosciuti?
Un’amica mi ha regalato un suo libro e mi ha detto: “Guarda, c’è un altro come te”. Ecco, questa è un’altra cosa che non avrei sperato di poter dire, che c’era un altro come me. All’epoca anch’io scrivevo solo poesie e le recitavo in pubblico – ora scrivo storie e mi dedico alla poesia solo per me, qualche volta. Però tutte le persone intorno a me, allora, non scrivevano poesie ironiche come le mie e, soprattutto, desideravano che fossero pubblicate, non volevano recitarle su un palco. Guido è stato la prima persona che ho conosciuto a scrivere versi simili ai miei, se non altro per l’intento ironico, e che come me era votato al palco, alla consegna orale dello scritto. Ora ci conosciamo da 10 anni, ci siamo molto uniti con il tempo e sono felice che chi ha visto lo spettacolo abbia sentito vividamente questa sintonia tra di noi.
Come nasce lo spettacolo?
Inizialmente è stata un’idea di Guido, a cui ho risposto subito di sì con entusiasmo. Avevamo già saliti su un palco insieme, ma erano momenti in cui semplicemente ci alternavamo, recitando ognuno le sue poesie. Questa volta, invece, volevamo creare qualcosa di più organico e articolato, un vero spettacolo fatto di poesie, ma anche di narrazioni e di dialogo tra di noi.
I vostri linguaggi sono affini ma anche molto diversi. Vi siete contaminati preparando questo spettacolo insieme?
Sì, ci siamo contaminati, rimanendo diversi e completandoci, ma senza imitarci a vicenda. Ci vogliamo bene anche per questo: siamo simili ma anche profondamente diversi, a partire dal fatto che io sono romagnolo e lui torinese. Anche nei linguaggi siamo diversi, quindi la contaminazione c’è nella misura in cui ci siamo messi in gioco e siamo andati l’uno incontro all’altro, mantenendo però le nostre caratteristiche peculiari. Un po’ come le grandi coppie di comici, di amici, o di amanti. Complementari.