Roberto Mercadini
e Guido Catalano si conoscono per lo stesso motivo per cui hanno deciso di scrivere uno spettacolo insieme, e per lo stesso motivo per cui hanno deciso di scrivere e basta. Hanno voglia di raccontare le cose, ma di quelle voglie viscerali che assomigliano tanto ai bisogni, e ne copiano l’urgenza. Un giorno un’amica di Mercadini gli ha regalato un libro di Catalano dicendogli “C’è uno come te!” – me l’ha raccontato lui in un’intervista due giorni prima di andare in scena a Fiesole. E così, assomigliandosi ognuno a modo suo, un romagnolo e un torinese si trovano su un palco e raccontano alcune storie, le loro storie.
Siamo abituati ad ascoltare le loro voci impegnate in versi di un amore intimo e universale, verso un essere umano o verso la conoscenza. Invece queste sono le loro storie, le loro vite. Cose che non avremmo sperato di potervi dire, invece, è una chiacchierata in salotto, anzi sul terrazzo. Un monologo a due in cui i protagonisti attirano a turno l’attenzione del pubblico, come i tipi più spigliati a un aperitivo. Una comicità spontanea, che talvolta si veste di limpida tenerezza, mostrando quella parte di bisogno che c’è nella voglia di raccontare. Se ne accorgono, loro, i menestrelli. Di tutto ciò che noi viviamo e trascuriamo e superiamo e minimizziamo, loro si accorgono, ne colgono il senso, lo condividono. Ecco, vedi, era questo che mi era successo, senza che avessi trovato le parole per dirlo. Le hanno trovate loro. Quanti anni si possono raccontare in una serata? Fin dove arriva la curiosità dei commensali? Dipende tutto dalla voce che parla: da quanto è spessa e filtrante, dal ritmo con cui corre e rimbalza indietro, dagli spazi che lascia ai lembi della bocca di alzarsi, contrarsi, inarcarsi. C’è chi non si stancherebbe mai.
L’organza e i punkabbestia, le ombre cinesi e le tempeste convivono tutti nel tempo di una cena, si legano e si inseguono per descrivere mondi sempre così vicini e ancora così lontani. È una meraviglia autentica e geniale quella di Cose che non avremmo sperato di potervi dire, che trova l’equilibrio in uno scambio finto, alternato artificialmente. Lo sappiamo tutti che si sarebbero sovrapposte, quelle voci, e si sarebbero dette più di quanto noi, dagli scaloni di pietra, avremmo potuto capire. All’aperitivo sulla terrazza sarebbe andata così. Sul palco di Fiesole, come su tutti gli altri che hanno misurato il peso e la leggerezza di questa coppia, il caos trova un ordine, forse fin troppo scandito, ma certo indispensabile al pubblico per godersi le parole senza farsi distrarre dalla melodia. Chi sogna in grande, però, aspetta il concerto.