FESTA 2022: Festival del Teatro Aperto (Terza Edizione)
In scena dal 9 al 14 agosto 2022, Pescopagano (PZ)
L’estate italiana, scenario ideale per la commedia di costume, dalle scorribande di Gassman e Trintignan ne Il Sorpasso al “viaggio-non viaggio” di Verdone in un Un Sacco Bello …
Estate, tempo sospeso, da dedicare alla fuga dal consueto, all’oblio di sé, all’abolizione dell’utile (e forse del tempo stesso). Tempo di feste e di festival, di lingue e di linguaggi artistici che di norma devono accontentarsi di “nicchie” elitarie e spazi residuali. Ebbene, nell’estate italiana, quest’anno è tornato il FESTA: Festival del Teatro Aperto di Pescopagano, in provincia di Potenza.
A Pescopagano si arriva solo con il passo paziente dello scalatore. Quello della salita, quello dei tornanti, protetti dalle propaggini di un verde lussureggiante. Poco prima di raggiungere l’abitato del paese, si incontra il segnale che designa il limite del territorio campano e l’inizio di quello lucano. Infatti, Pescopagano è da sempre la porta della Basilicata, il primo comune che si incontra procedendo dal versante occidentale. Quello battuto già dai Romani “qualche estate fa”. E le vestigia di quel passaggio restano ancora in un borgo resiliente, piagato dal terremoto dell’Irpinia nel 1980 ma resistente.
Nel panorama teatrale italiano, Il FESTA rappresenta senza mezzi termini un’occasione,
soprattutto per gli artisti. Non è importante infatti, per partecipare al bando del FESTA, essere strutturati in una compagnia o essere soli in scena, non ci sono generi né temi vincolanti, tanto meno è richiesta l’iscrizione ad una qualunque federazione o altro albo. Questo è il senso primario a cui si riferisce l’aggettivo “aperto”, mutuato ed ispirato dalla parabola artistica di Stanislavskij. Una formula di concetto e di approccio, non già una indicazione di logistica …
Arrivo a Pescopagano nel primo pomeriggio, il giorno prima della data d’inizio del FESTA. Il
viaggio è impegnativo ma denso come un lento rituale. Un “cammino” silenzioso, panoramico, composto da svolte variegate: il turchese del golfo di Salerno, il patchwork di romboidi biondo-verdi disteso sull’agro collinare, i parchi eolici, i vigneti e poi il bosco, sempre più fitto, costante infine. Dopo tanto erto salire, la strada spiana all’improvviso. Il belvedere di Pescopagano, attorno al palazzo municipale, apre un varco ad un vento che sembra essersi materializzato dal nulla. Di lì a qualche secondo, all’orizzonte, dopo settimane di acre siccità, il suono inusitato del tuono riempie l’imponente vallata, dove la Lucania abbraccia Campania e Puglia.
Sistemo i miei oggetti nell’alloggio che ci è stato messo a disposizione, ricavato nei locali della storica scuola elementare del paese, ora riconvertita per attività di accoglienza. Qui trascorrerò quasi per intero questa settimana, condividendo “spazio e tempo” con le compagnie che inizieranno ad affluire da domani. E’ questa la matrice più autentica del FESTA: mettere in relazione stretta e diretta gli artisti selezionati, in modo tale che non si limitino ad esibire il loro spettacolo nella sera loro deputata, ma vivano per intero, in comunione ed in comunità, tutte le diverse fasi di tutte giornate del festival, unendo
attorno a loro, come in una serie di cerchi concentrici, la vita del paese.
Una vita odorosa di genuinità, sospesa a quasi quota mille (a proposito, dicono che quando il cielo è terso, si riesca ad avvistare il mare all’orizzonte … ). La mattina si fa colazione da Pinuccio, nello storico bar del paese, dove il rito del caffé mattutino è una cerimonia individuale e comunitaria ad un tempo. Ognuno arriva alla spicciolata, ma viene inesorabilmente coinvolto nel dialogo “pubblico” dai primi mattineri, già presenti nel cortile antistante il bar. Lì trova forma una piccola, spontanea agorà, ricavata attorno ai cuscini variopinti, posati ordinatamente su di un lato rialzato del marciapiede, dove l’ombra benedice l’intera mattinata.
Dopo tutto, che cos’è la “festa”, antropologicamente parlando, se non la sospensione
programmatica del tempo ordinario? Una sospensione del tutto organica all’organizzazione del tempo produttivo, il quale tornerà ad essere “restaurato” subito dopo la breve pausa della festa e da essa trarrà rinnovato impulso? Forse è per questo che al FESTA, i tanti momenti di convivialità e di condivisione del cibo contengono una pienezza semantica oltre alla rotondità del gusto. Vi è il ripristino costante di un’energia tutta umana e pre-umana, che rinasce costantemente a nuova vita.
“Teatro aperto” è prima di tutto un’espressione sovversiva, oltre che una formula organizzativa, come spiega Marco Pace, direttore artistico del FESTA. E’ l’idea di teatro come luogo “aperto a tutti” da cui Stanislavskij partiva pionieristicamente prima ancora di avventurarsi nella sua ricerca attorica e pedagogica. A proposito, per una “sfidante” congiunzione astrale, un ciclone di temporali estivi, tutti rigorosamente tardo-pomeridiani, si è intrattenuto per tutta la durata del festival, e gli spettacoli –
originariamente immaginati “all’aperto”, nel palcoscenico naturale della villa comunale di Pescopagano-hanno dovuto riparare al coperto, negli spazi ricavati nella palestra del paese.
Gli artisti selezionati dal comitato organizzatore del FESTA, sette su sessantuno candidature
presentate, non hanno dovuto adempiere a requisiti restrittivi (quote di iscrizione, invio di materiali video etc.). Hanno, bensì, dovuto principalmente convincere circa la loro motivazione a prendere parte ad un’esperienza, artistica ed umana, di espressione e di condivisione. Anche perché manca nel FESTA ogni forma di competizione o di premio eventuale. Ne è venuto fuori uno spaccato eterogeneo, ad iniziare dalla provenienza geografica delle compagnie: due dal Piemonte, una dalle Marche, una dalla Campania, un
artista dall’Umbria, uno dal Lazio ed uno dalla Calabria.
Ad aprire le danze è lo spettacolo “Con il naso in su” di Andrea Zanacchi. Ed in effetti l’artista romano (di Cerveteri, per la precisione), non ancora quarantenne, ha le “spalle larghe”. La matrice “popolana” del suo linguaggio teatrale dissimula una sapienza sedimentata, sostenuta da malizie ed astuzie in cui riluce una conoscenza del palcoscenico di lungo corso, ma anche una intelligenza vivida, vivace, piacevolissima. Poliedrico, dotato di solida tecnica attorica, Zanacchi ci propone la parabola di un clochard che vive l’oggi attraverso il vetro (s)colorato del ricordo. Il tempo è cadenzato da icone pop ed oggetti riconducibili alla quotidianità di anni e decadi riconoscibili, quasi palpabili, per una scenografia della parola che duetta con quella materiale presente in scena. Quest’ultima partecipa a sua volta al lavoro drammaturgico, entrando efficacemente nella personificazione di ruoli antagonistici, fondamentali nello sviluppo dell’intreccio.
Giocano quasi in casa i Barattoli Cosmici, formazione campana (Piano di Sorrento, Napoli)
molto attiva nel campo del teatro infanzia, che viene elevato fino al rango dello spettacolo tout public. Il loro “Fore e dinto, dinto è fore” richiama già dal titolo una vissuta, programmatica frequentazione con il mondo della fiaba. Qui forse è la leggenda la cornice più precisa: il mito popolare, e la finzione intesa non come falsificazione ma come costruzione distanziata del vero. Tramite uno stratificato lavoro di astrazione e sottrazione, viene elaborato un codice teatrale potente e raffinato, dove ogni oggetto di scena
ha un portato simbolico, ma non manca mai di avere un impiego materiale e fisico nell’azione. Maschera e mescolanza linguistica, dinamica e plastica dei corpi vengono intessuti con calibrato senso della misura, veicolando una vicenda che è perturbante quanto lucida nei meccanismi storico-sociali che indaga.
CLAET di Ancona, giunti alla terza partecipazione su tre edizioni del FESTA, vivono con
nonchalance il ruolo dei veterani, portando in scena ben due lavori: “La Serratura” di Tardieu e “I Giusti nel tempo del Male” di Svetlana Broz. Abbiamo così modo di cogliere “varianti e costanti” del linguaggio scenico di questa interessante formazione marchigiana. La scelta dei testi presentati è già rivelatrice, tracciando direttive nient’affatto univoche: dalla tagliente, intelligentissima, sovraesposta finzione di un teatro d’assurdo, che meglio d’ogni realismo sa descrivere il reale, passiamo ad un asciutto teatro- documentale, per un avvicinamento alla verità tramite lo strumento del teatro, vissuto come esperienza
collettiva prima ancora che come rappresentazione. Convince il tratto pulito della regia che accomuna ambedue le messinscene, il grado raccolto dell’energia attorica da convogliare improvvisa nei punti apicali. Un teatro, quello del CLAET, che sa parlare la lingua dell’oggi, toccare le corde delle sue tensioni, vagheggiare il suo divenire.
Con “Legomenon PPP”, spettacolo di Piero Zucaro (Cosenza), il teatro recupera certe sue
profondità atemporali, dove esso si fa specchio per la condizione umana, e l’immagine restituita è quella della ferita. La scena tracima di libri consunti e vetuste chincaglierie, che non risuonano alcuna ricchezza, alcuno splendore e neppure memoria: rendono anzi l’effetto doloroso della dimenticanza. La sofferta, tormentata riflessione di Pasolini era l’incubazione del suo martirio barbaro. La mano armata del suo sacrificio è la pochezza del consorzio umano di ogni tempo. Il poeta è sempre solo, non già solitario. Non elitario, non malinconico, ma collettore unico di un richiamo, una richiesta di senso invocata alla polvere, inane eppure necessaria, più dell’aria. In scena, questo concerto dolente è genialmente reso dal colore chiassoso, dall’accumulo numerico e disordinato di oggetti “vili”, dalla memoria ostinata di documenti cartacei, dall’eco fantasmatica di voci che aleggiano a metà strada tra mondo e illusione di mondo.
“Il Mercante di Stoffe” di Matteo Corrado (Terni) trasmette un sentore denso di genuinità,
l’autenticità di una passione commossa che intende porgersi con naturalezza intatta. E’ qui che convivono il nucleo e l’enigma dello spettacolo, perché si tratta di un lavoro che assomma in sé tutti i linguaggi possibili del palcoscenico: la danza, la canzone, la recitazione. Un musical giocato in assolo, dunque, dedicato alla figura di San Francesco di Assisi: eroe sì, ma della povertà, della rinuncia, della sottrazione.
Con “Il mercante di Stoffe”, Matteo Corrado accompagna la figura storica del Santo di Assisi in un illusionistico cammino à rebours, in cui la luminosità del creato abbraccia passato e presente in un’unica dimensione esperenziale.
Ancor più lontano dall’orizzonte immediato ci conducono i Salti in Bocca, formazione piemontese (Sant’Antonino di Susa, Torino) che si misura con una proposta difficile ed insolita: “Al pozzo dello Sparviero”, uno dei Drammi Celtici di William Butler Yeats, premio Nobel per la Letteratura (1923). La scena cerca di ricreare il paesaggio ancestrale che Yeats immaginava per una drammaturgia che ambiva a recuperare la tradizione folklorica irlandese, in un periodo in cui la questione dell’identità nazionale e linguistica era cruciale in Irlanda, coinvolgendo attivamente il teatro. La matrice mitica imprime al dramma una tendenza “narrativa” che impone in scena una prolungata fissità, dove le variazioni sono
affidate prevalentemente alla canzone ed alla musica.
Gran finale affidato alle “ragazze terribili” di Teatro al Femminile (Cirié, Torino), che
propongono i loro “Dialoghi della Vagina”. I loro dialoghi, perchè si tratta di un lavoro originale, che gioca nominalmente con l’altisonante precedente statunitense (i celeberrimi “Monologhi” di Eve Ensler) ma vive “di vita propria”. E gode di ottima salute, si direbbe, a sentire il grado di coinvolgimento del pubblico, il che non è un dettaglio per una stand-up comedy. In scena, Virginia Risso e Gaia Contrafatto, deliziosamente complementari, formano una coppia dai meccanismi solidi, e se è vero che le due attrici sanno leggere all’impronta le occasioni offerte dalle reazioni in platea, va riconosciuto al loro lavoro una
compiutezza testuale che ingloba drammaturgicamente la dimensione metateatrale.
A Pescopagano, nei giorni del FESTA – se si concede tempo al tempo, se si permette al suono di affiorare dal respiro delle ore – si ascoltano dialetti ed inflessioni provenienti da posti lontani. E’ un suono che sa di abbracci, di ritorno al paese natìo per le ferie d’agosto.
A Pescopagano, nei giorni del FESTA, le porte di casa sono spalancate e camminando tra i vicoli il vento trasporta le voci graffiate delle radio accese, il profumo discreto del soffritto sul fuoco, quello terso del bucato appena steso o appena ritirato.
A Pescopagano, nei giorni del FESTA, qualcuno si muove in preda ad una agitazione bambina, che nessuna utilità muove e nessuna modernità riesce ad invecchiare: la pazza idea di andare in scena. La lezione intima del teatro alla vita: non l’imitazione, ma l’utopia.
Paolo Verlengia
CREDITS:
“FESTA – Festival del Teatro Aperto”
Pescopagano (PZ) 9-14 Agosto 2022
Organizzato da Associazione “Albatros”
Direttore Artistico Marco Pace
Per info e Programma:
https://festivaldelteatroaperto.it/
https://www.facebook.com/festivaldelteatroaperto/