Il nuovo Anello del Nibelungo al Festival di Bayreuth
Wagner in stile Netflix
Il Festival di Bayreuth torna alla sua festosa routine dopo due anni di pandemia. Sono venute meno le restrizioni, sulla Collina Verde ricomincia il pellegrinaggio dei devoti wagneriani e si festeggiano due prime assolute: l’apertura del Festival con "Tristan und Isolde” e il nuovo ciclo del ”Ring des Nibelungen (L'anello del Nibelungo)“ firmato dal giovane e pluripremiato regista austriaco Valentin Schwarz. Questo nuovo Ring sarebbe dovuto andare in scena nel 2020, ma le rappresentazioni furono completamente cancellate. Anche questo debutto ha dovuto scontrarsi con molte avversità dovute al COVID: numerosi cambiamenti del cast e soprattutto l’avvicendamento, un paio di settimane prima della serata di apertura, del direttore d'orchestra finlandese Pietari Inkinen con il
maestro tedesco Cornelius Meister.
Valentin Schwarz rimuove ogni riferimento mitologico e (sovra-)naturale. Spoglia la Tetralogia wagneriana di dei, nani, giganti e draghi e la trasforma in una grande saga familiare di due dinastie ostili. Le vicende del clan allargato di Wotan e Fricka si intrecciano con quelle del milieu criminale di Alberich e Hagen. Un’epopea familiare di legami di sangue, di traumi, di conflitti. Il tutto confezionato in una dimensione da serie Netflix. Alla fine del primo ciclo di rappresentazioni questo nuovo Ring è stato salutato da vivaci contestazioni. Si è assistito al terzo ciclo di recite. Si apre il sipario iniziale del Rheingold (L'oro del Reno) e il Reno non è un fiume, ma la piscina di un centro estivo dove le tre figlie del Reno, in versione di frizzanti istitutrici, tengono a bada un gruppo di fanciulli. Finché arriva Alberich, un vecchio bandito piuttosto male in arnese che, pistola alla mano, rapisce un ragazzino. Nella narrazione dinastica di Schwarz i figli rimpiazzano l’oro del Reno come fonte di potere e di ricchezza. Non a caso sulle note del preludio si proiettano le immagini di due feti gemelli (Wotan e Alberich?). La dimora degli Dei è una lussuosa villa modernista in cui prevalgono i colori tenui del legno lucido e che rispecchia lo status
della famiglia. Wotan (un solido Egils Silins) è un playboy stagionato. Lo circondano gli altri Dei, fra cui si notano Christa Mayer, che restituisce gli accenti di Fricka con voce piena di carattere e gesto assertivo. Daniel Kirch trasforma Loge nel losco avvocato di famiglia. Elisabeth Teige è una Freya piuttosto annoiata ma di voce solidissima. Attilio Glaser canta Froh con bella voce tenorile, Raimund Nolte impersona Donner brandendo una mazza da golf al posto del martello rituale. Una dinasty di ricchi annoiati e decadenti e di gangster sgarrupati. Perfetto stile Netflix. Il regno sotterraneo di Alberich è un asilo-prigione in cui Mime custodisce dei bambini in una teca di vetro. Si nota quello rapito da Alberich, un ragazzino violento e bullizzato dagli altri che si immagina diventi poi Hagen. I
giganti sono due malavitosi che arrivano in SUV scuro.
Se si dimentica che questo è il Ring, lo spettacolo ha una certa efficacia e coerenza stilistica. Le scene di Andrea Cozzi sono molto curate e traspare un importante lavoro tecnico, così come i costumi di Andy Besuch, ritagliati a pennello sui personaggi. I personaggi in scena sono credibili, anche per la recitazione curata ed efficace. Wotan e Alberich potrebbero essere davvero due capifamiglia di clan opposti, fra cui scorre l’odio. Ci sono pistole dappertutto. La maledizione di Alberich suona sinistra e credibile, anche se scagliata da un vecchio bandito in mutande e canottiera; il baritono islandese Olafur Sigurdarson è assolutamente autorevole nel ruolo e sfoggia voce grande e piena di sfumature malvage; sarà festeggiatissimo alla fine della serata. Ci sono anche dettagli incomprensibili: chi è la bambina che Erda vestita da governante, a cui una statuaria Okka von der Damerau presta voce potente e ricca di colori scuri, porta via protettiva alla fine della recita? Brünnhilde piccola? Non c’è neanche traccia dell’elmo magico Tarnhelm. Alla fine della recita contestazioni per la regia e applausi calorosi per i cantanti. Tratti che si ripeteranno nelle serate successive.
Il sipario della Walküre (La Valchiria) si schiude sullo scantinato della casa di Hunding, che durante il drammatico confronto con Siegmund continua a riaccomodare con nonchalance il quadro elettrico, come se stessero discutendo di Fiorentina-Atalanta. Sieglinde è già incinta. Non si sa di chi, ma la domanda ha almeno dato molto da parlare alla platea. Non c’è traccia di Nothung la spada (rimpiazzata dalla solita pistola). Wotan invece di fermare Siegmund gli spara e lo uccide, risparmiando lo sforzo a Hunding. Brünnhilde entra in scena durante il … funerale di Freya. Peccato che nel libretto originale Freya si guardi bene dal morire. Il piatto forte è la cavalcata delle Valchirie ambientata in un salone di chirurgia estetica dove le bionde guerriere si rifanno naso, labbra e seno.
Se non altro esilarante. Bisogna ammettere che affiora anche un passaggio bello della recitazione: a un tratto Brünnhilde e Fricka si guardano e in quello sguardo, tutto femminile, si capisce che stanno decidendo il futuro corso degli eventi.
Il canto e la musica compensano il tutto con abbondanza. Il primo atto di Walkiria è il punto alto di questo Ring. Lise Davidsen conferma di essere il soprano wagneriano di questa generazione. La cantante norvegese restituisce tutti i tormenti di Sieglinde con voce strabiliante per brillantezza e volume. Klaus Florian Vogt, tenore ampio, luminoso, a tratti più scuro, le offre una sponda robustissima. Cornelius Meister saggiamente non forza i tempi e lascia tutto lo spazio possibile al palcoscenico. Georg Zeppenfeld presta voce e gesto esemplari a Hunding e completa questa autentica festa del canto wagneriano. In fondo è per questo che si viene a Bayreuth. Eccellenti anche la Brünnhilde di Iréne Theorin, soprano wagneriano navigato, che canta con emissione solida e bel timbro vocale, e Tomasz Konieczny che ben restituisce l’amarezza di Wotan. Al sipario finale cantanti
festeggiatissimi e un vero uragano di applausi per Lise Davidsen. Soliti buh per la regia.
Nel Siegfried la fucina di Mime diventa uno seminterrato laido dove il Nibelungo, vestito da Mago Merlino, si diletta con macchinette varie e burattini. Siegfried entra in scena alticcio. Il tutto rimanda un’idea di squallore e di povertà. Fafner, invece di essere ucciso da Siegfried, muore per un attacco di cuore in casa di Wotan. Il Waldvogel (Uccello della foresta) è una cameriera con cui Siegfried prova a mettere in pratica quello che ha imparato sui giornaletti nel sotterraneo di Mime, parte integrante del percorso dell’eroe verso la conoscenza dell’amore. Erda, ancora ottima Okka von der Damerau, è una senzatetto. Ci sono momenti anche efficaci, se presi a sé, come il confronto al
capezzale di Fafner fra il banditesco Alberich e Wotan; sembra davvero uno scontro fra due
capobanda avversari. E il disvelamento di Brünnhilde dalle bende (che sostituisce il risveglio sulla rocca) è molto poetico. Finita la recita partono i soliti buh all’indirizzo della regia, seguiti da applausi calorosi per il cast. Applausi meritati. Andreas Schager è un vero Heldentenor; voce grande e tecnica perfetta è un Siegfried che trasmette forza ed entusiasmo, anche in questo contesto miserabile.
Daniela Köhler canta Brünnhilde con voce luminosa e appassionata. Tomasz Konieczny presta voce e gesto a Wotan.
Il Götterdämmerung (Il crepuscolo degli Dei) inizia nella casa medio borghese di Siegfried e
Brünnhilde. Anche qui prevalgono i toni eleganti del legno chiaro. I due hanno una figlia (non prevista da Wagner), dai cui incubi sorgono le Norne. Alla placida dimora dei due fa da contraltare la villa cafonissima del trio Gunther-Gutrune-Hagen. Sulla parete di fondo campeggia perfino una gigantografia di uno scorrettissimo safari con i tre in posa accanto al cadavere di una zebra (si immagina che la cosa abbia suscitato proteste degli animalisti). L’abbigliamento dei due fratelli sembra uscito da un rotocalco gossip. Assolutamente perfetto per due ricchi zotici. Con questi due decerebrati il perfido Hagen ha facile gioco a muovere le fila della congiura. Si susseguono le trovate.
Grane, il destriero di Brünnhilde, è un bodyguard che segue Siegfried alla corte di Gunther. Gunther oltre a rapire Brünnhilde prende in ostaggio anche la bambina. Il terzo atto si svolge sul fondo di una piscina vuota e sporca. Niente incendio del Valhalla. Niente piena del Reno. Gunther si limita a tirare in piscina la testa mozzata del servitore Grane. E sul sipario finale tornano i due feti abbracciati del filmato dell'inizio. Come successo nelle tre puntate precedenti, il canto e la musica trasformano questa ultima serata in un successo. Iréne Theorin si riappropria del ruolo di Brünnhilde e lo riempie di potenza vocale e accenti drammatici; impressionante il suo finale nella piscina squallida e vuota.
Accorata la Waltraute di Christa Mayer che sfoggia ancora voce grande e bellissimo timbro vocale.
Tenebroso e oscuro il Gunther un po’ borderline di Michael Kupfer-Radecky, espressiva recitazione e colori scuri. Albert Dohmen rimanda tutta la malvagità di Hagen ed Elisabeth Teige presta voce ampia e lirica a questa Gutrune sfacciata. Superlativo il Siegfried di Stephen Gould. Alla fine, ancora contestazioni per la messinscena e applausi fragorosi per i cantanti.
Si esce dall’ultima puntata della Tetralogia chiedendosi quale sia il valore aggiunto della
messinscena. L’idea di trasformare il Ring in una saga dinastica non è affatto implausibile e
l’approccio di Valentin Schwarz comprende una buona dose di idee e di immagini intriganti. Alcune trovate sceniche sono brillanti, ma in totale ne esce uno spettacolo senza una cifra unitaria e con qualche cliché già visto, come i ricchi villani. Si va avanti per episodi successivi, spesso casuali, come nella vita. Tutto si annacqua. A tratti è anche divertente, non dovesse essere il Ring. Alcune trovate restano poi incomprensibili, tipo il funerale di Freya o la Valchiria già incinta prima di incontrare Siegmund. Da svelare anche il mistero non spiegato di un piccolo prisma di luce che appare in ogni serata passando da recita a recita. Appare a volte sui mobili, a volte viene spostato dai personaggi in scena. Pare un trait d'union che può far venire a mente il misterioso monolito di Odissea nello Spazio
che passa da scena a scena, di epoca in epoca.
Restano le quindici ore di musica, che fanno sopportare la scomodità dei seggiolini da cinema parrocchiale e la mancanza di aria condizionata e di sottotitoli della Festspielhaus. Anche in questa occasione ogni pezzo del tessuto musicale va al suo posto. Cornelius Meister, alla guida della crème de la crème delle orchestre tedesche, dà una lettura solida e con i tempi giusti del gigantesco spartito di Wagner e fa risaltare la rete intricata di Leitmotiv che lo compongono.
Anche il Ring precedente, realizzato da Frank Castorf nel 2013, fu subissato all’esordio da un uragano memorabile di contestazioni. Le critiche si sono poi attenuate col passare delle rappresentazioni e il Ring di Castorf è stato poi rivalutato. Succederà lo stesso a questo nuovo Ring, considerato che esso continuerà ad andare in scena per anni (la nuova Tetralogia è previsto per il 2026, 150-esimo anno dal debutto del Ring) e ci sarà la possibilità di affinarlo ulteriormente?