Al Teatro la Pergola di Firenze torna il capolavoro di William Shakespeare La dodicesima notte, o Quel che volete (in inglese Twelfth Night, or What You Will) commedia in cinque atti, scritta tra il 1599 e il 1601 e pubblicata postuma nel First Folio del 1623, per la regia di Pier Paolo Pacini, allievo di Orazio Costa Giovangigli, la cui versione della dodicesima notte è qui rivisitata con fedeltà, intelligenza e creatività, direttore del Centro di Avviamento all'Espressione (CAE), fondato da Costa nel 1979, e del Corso per Attori "Orazio Costa" presso la Fondazione Teatro della Toscana, dopo aver messo in scena negli anni passati sempre per il Teatro della Pergola con i diplomati del Corso per attori suddetto, Romeo e Giulietta di Shakespeare (2016), Pinocchio da Carlo Lorenzini (2021).
“La dodicesima notte è un invito alla normalizzazione che Shakespeare ci fa arrivare attraverso i secoli con la maestria del suo genio teatrale e del suo spirito libero. Questo si inserisce in un clima di festa (non per niente la prima rappresentazione avvenne probabilmente nell’ambito di una festa studentesca), che fanno di questa commedia, ambientata in un regno inventato pieno di musica e di colori, un inno alla libertà, temperato da un’atmosfera favolistica che rende tutto un gioco. Ma – come in tutte le favole – la superficie apparentemente leggera nasconde significati profondi.” (Pier Paolo Pacini)
ll suo titolo rimanda alla festa della dodicesima notte, all’Epifania, chiamata così perché fa riferimento ai giorni che trascorrono dal Natale fino all’Epifania. I gemelli Viola e Sebastian, a seguito di un naufragio, si ritrovano separati in un luogo sconosciuto e immaginario, Illiria, ricostruito nella trasfigurazione scenica con luci al neon e monoliti in cui gli attori personaggi possono specchiare le loro stravaganze e nascondere i loro desideri di amore, vino ed esuberanza.
Viola incontrerà l’altezzoso Duca Orsino e l’indomabile dama Olivia. Convinta di aver perso il fratello e travestendosi da uomo, Viola entra a servizio del duca sotto il nome di Cesario e viene mandato come messaggero per richiedere la mano di Olivia, di cui il Duca è audacemente innamorato. Ma la commedia diventa a poco a poco e si palesa come una commedia degli equivoci, perché Olivia si innamora di Viola camuffata da uomo, Viola si innamora del Duca Orsino, il fratello Sebastian ricambia l’amore di Olivia creduto essere Cesario e così di seguito altri corteggiamenti e altri inganni e rocambolesche danze articolano e snodano la vicenda, a suon di musica dei Santa Esmeralda, Tico Tico, chanson française e altre canzoni leggere del secolo passato.
“Se la musica è l’alimento dell’amore, suonate, e fatemene udire fino a che la mia passione, troppo divampando, soccomba e spiri.” (William Shakespeare)
Universale è senza dubbio la sostanza di questa commedia che si sviluppa nel disequilibrio che c’è tra l’essere e l’apparire; i travestimenti che confondono i volti con le ombre, le identità con le loro mutevoli rappresentazioni, i vari inganni che distorcono la realtà nascondendo le passioni taciute o i desideri inconfessabili, rispecchiano e equivalgono alle identità metamorfiche del mondo attuale, all’ambiguità delle relazioni con gli altri e con se stessi, in una parodia divertente e divertita che rende impensabile una risoluzione al dilemma, su chi siamo, cosa vogliamo e chi rappresentiamo. I personaggi di questa commedia ingannano gli altri ma anche se stessi, divengono la stessa messinscena che vorrebbero far subire ad altri. Questa fluidità dell’io, della sua camaleontica e
imprendibile essenza o assenza di essenzialità alla fine, è celebrata con allegria e spensieratezza dal genio profetico di Shakespeare, l’essere nel teatro e nella vita è lo stesso gioco di apparenze, così vicino alla follia e alla libertà, da far valere la provocatoria frase appunto fate o vivete “quel che volete”.
“Tutto è caso: non vi è che fortuna e sfortuna in questo mondo.” (William Shakespeare)
Il tempo è il segreto protagonista di questa storia, in cui le identità si vogliono perdere per ritrovarsi, in cui si camuffano per svelare in realtà i desideri che albergano nel proprio cuore, nel gioco delle apparenze si delinea il sentimento profondo dell’essere che accomuna tutti, le maschere e le verità presenti sul palcoscenico, che rimandano a quelle della vita. Olivia, Viola, il Duca Orsino, Feste, Malvolio, Sebastiano, etc., tutti loro rincorrono chi vogliono essere per abbracciare chi vogliono amare, nell’attesa che vive nel mondo dell’apparenza, nell’epilogo di un teatro che attraverso le maschere smaschera, attraverso i ruoli dei personaggi mostra l’animo delle persone.
“E come la virtù che degenera ha le toppe di peccato, così il peccato che si emenda ha le pezze di virtù.” (William Shakespeare)
Pier Paolo Pacini dirige la commedia la dodicesima notte appunto nella virtuosa versione di
Orazio Costa, una traduzione di acutezza e lungimiranza, che esalta la peculiarità del testo
nell’alternare l’uso di prosa e poesia. Una prosa poetica e una poesia prosastica, vera, autentica, com’è sempre la scrittura del genio Shakespeariano. Inoltre è stata alleggerita con eleganza dall’intervento di Filippo Gentili, che è intervenuto per aiutare a rendere più limpido l’intreccio, attualizzando il linguaggio più desueto e arcaico laddove esso poteva risultare ostico o poco fruibile per lo spettatore contemporaneo. Ne viene fuori una commedia attuale e antica, fedele all’originale e all’innovazione, contemporanea e classica, logica e folle, beffarda e sincera, notturna e solare, un guizzo di genio e una parola insensata vanno a braccetto nell’evocare lo spirito che l’aveva animata dalla sapiente ed eterna penna di William Shakespeare. Il teatro non è stato più lo stesso dopo di lui,
arricchendone perfino la vita o il mistero o la follia, di chi ne è spettatore.
“La follia, mio signore, come il sole se ne va passeggiando per il mondo, e non c’è luogo dove non risplenda.” (William Shakespeare)
di William Shakespeare traduzione Orazio Costa Giovangigli riduzione Filippo Gentili con (in
ordine di apparizione) Federica Cavallaro, Marco Santi, Luca Pedron, Greta Bendinelli, Fabio
Facchini, Federico Serafini, Manuel D’Amario, Maddalena Amorini, Giulia Weber, Davide Arena costumi Elena Bianchini scena Fran Bobadilla regia Pier Paolo Pacini produzione Teatro della Toscana