La forza della parola della drammaturga francese Claudine Galea, già Grand Prix de littérature dramatique, arriva a Romaeuropa dal 18 al 20 ottobre al Teatro Vascello con Au bord del regista di teatro e d’opera Valentino Villa insieme all’attrice – più volte premio Ubu – Monica Piseddu. Una produzione di 369gradi e Romaeuropa Festival in coproduzione con LAC Lugano arte e cultura e Triennale di Milano.
Era il 2004 quando il Washington Post sconvolse l’opinione pubblica internazionale pubblicando le immagini delle torture e degli abusi subiti dai prigionieri iracheni nel carcere di Abu Ghraib. Ossessionata dall’orrore dell’immagine di una soldatessa che tiene al guinzaglio un prigioniero, Galea costruisce nel suo testo un percorso di indagine sul modo in cui questi documenti dialogano con la nostra intimità fino ad attrarre e svelare la parte più torbida della nostra esistenza.
Svuotata del suo significato documentale, mostrata nella sua finzione e teatralità, indagata superando il sentimento di indignazione e orrore che suscita, la foto diventa, per la drammaturga, punto di partenza per la costruzione e l’attraversamento di numerose immagini incarnate nel corpo di fantasmatiche figure femminili che sono appartenute alla sua esistenza: dall’amante, alla figura torturatrice della madre. «Quello che mi piace dell’immagine è che apre lo sguardo, lo approfondisce. Non parlo mai d’interpretare l’immagine, parlo del fatto che l’immagine si rivela lentamente se lo sguardo ha la possibilità di soffermarsi» ha affermato Claudine Galea.
Proprio sulla capacità del teatro di assorbire, pensare, creare e alterare immagini e percezioni si sofferma la regia di Valentino Villa che pone Monica Piseddu all’interno di una sorta di camera oscura dal segno contrario, uno spazio bianco in cui figure appaiono lievi sublimando, contraddicendo, portando con sé le parole dell’autrice.
«L’immagine partorisce altre immagini» ripete più volte il testo, ed è così che l’io si disfa in un rituale collettivo che si nutre del rapporto tra una donna e l’immagine. Spiega Valentino Villa: «Il testo, così come lo spettacolo, non intendono evidenziare la dimensione di “bottino di guerra” (per citare la stessa Galea) o il portato documentale che queste immagini offrono. Il problema non è nemmeno la foto specifica o il suo contenuto. Il problema siamo noi. Noi di fronte ad un’immagine che mette in scena la nostra disumanità e con la quale evitiamo di fare i conti, che evitiamo di guardare veramente. L’orrore che queste immagini suscitano – sembra suggerire il testo – è proporzionale a quello che ognuno di noi custodisce nelle sue zone d’ombra e del quale la fotografia non è che il riflesso. Galea prova a scivolare sull’immagine superando l’orrore, superando lo scandalo per provare ad articolare un discorso più̀ ampio che riguarda ciò che guardiamo (…) Per Galea, l’immagine si rivela solo quando la fotografia non è più “attaccata alla parete” su cui osservarla, quando “immagini nere iniziano ad emergere dal muro bianco”. Per lei solo le “immagini fantasma” sono immagini reali. Ed è queste immagini che crea la sua scrittura».
Dalla classicità fino ai nostri giorni il ripetersi di forme ed equilibri parla della nostra inumanità, della violenza della supremazia occidentale che queste immagini manifestano e incarnano. Ma sui bordi dell’immagine si gioca anche il gioco della relazione tra finzione e realtà, un territorio in cui si costruiscono gli stereotipi che nutrono il nostro immaginario. Spiega il regista: «Un’altra fonte di ispirazione è stato per noi il lavoro di Cindy Sherman, la sua ricerca sulla costruzione dell’identità, sul modo in cui comportamenti, performance e immagini costruiscano gli stereotipi di genere, sui codici visivi che abbreviano la nostra costruzione e classificazione del mondo, sull’artificialità di queste immagini». Ad intessere queste riflessioni nella scena costruita da Sander Loonen è anche il soundscape di Fred Defaye (conosciuto come recording engineer personale degli Eurythmics e per aver mixato e registrato album per artisti del calibro di Bob Dylan, Depache Mode, David Gray e molti altri).
BIO
Valentino Villa | Regista di teatro e d’opera, vive e lavora a Roma. Debutta nel teatro d’Opera nel 2017 con Cefalo e Procri di Ernst Krenek per il Teatro Malibran de La Fenice di Venezia. Seguono le regie degli Intermedi della Pellegrina per il maggio Musicale Fiorentino (2019), di Luci miei traditrici di Salvatore Sciarrino per il teatro La Fenice di Venezia (2019) e, nel 2022, ancora per La Fenice, la regia de I Lombardi alla prima crociata di Giuseppe Verdi. Particolarmente interessato alla drammaturgia contemporanea ha costruito il suo percorso artistico sviluppando una scrittura scenica geometrica, particolarmente attenta all’immagine e all’equilibrio tra le parole e il suono. Ha portato in scena testi di Neil Simon, di Harold Pinter (Party Time) di Dorothy Parker, di Virginia Woolf, di Pietro Citati e di Christopher Isherwood. Su invito della Biennale dei Giovani Artisti d’Europa e del Mediterraneo ha elaborato all’Italian Restyle Festival nel 2010 BLU, definitiva messa a fuoco del suo interesse per la commistione fra i differenti linguaggi della scena. Grazie a Face à face, Parole di Francia per scene d’Italia ha firmato la prima messinscena in italiano dei testi di Jean-Luc Lagarce Noi, gli Eroi e Music-hall, quest’ultimo in collaborazione con Rai Radio 3, protagonista Darial Deflorian, traduzione di Giogia Costa. Nel 2013 è coinvolto, come attore, nello spettacolo Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni di Deflorian/Tagliarini che ha debuttato al Romaeuropa Festival nel 2013. Docente di recitazione, anche presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” di Roma, è un insegnante certificato del metodo Linklater – Freeing the Natural Voice. Con Au bord presenta per la prima volta in italia un testo della drammaturga Claudine Galea. Tra i prossimi impegni curerà la regia di Jeanne Dark di Fabio Vacchi in prima assoluta mondiale per il Maggio Musicale Fiorentino.
Monica Piseddu | Si diploma come attrice all’Accademia Nazionale D’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Dal 2002, per oltre dieci anni, lavora con Arturo Cirillo negli spettacoli: Mettiteve a fa’ l’ammore cu’ me di E. Scarpetta, L’Ereditiera di A. Ruccello, La Piramide di Copi, Le Intellettuali di Molière, Le cinque rose di Jennifer di A. Ruccello, Otello di Shakespeare, L’Avaro di Molière, Ferdinando di A. Ruccello e Lo zoo di vetro di T. Williams. Nel 2004 è con Mario Martone nella prima edizione di Edipo a Colono di Sofocle. Lavora inoltre con Massimiliano Civica in La Parigina da H. Becque (2005), Alcesti da Euripide (2014) e Antigone di Sofocle (2019), con Antonio Latella in Natale in casa Cupiello di E. De Filippo (2014) e Ti regalo la mia morte, Veronika di F. Bellini e A. Latella (2015), con Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, come attrice e collaborazione al progetto in Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni(2013) e Quasi Niente (2018), liberamente ispirato al Deserto Rosso di Michelangelo Antonioni. Insieme a Daria Deflorian e a Monica Demuru partecipa al programma Il Teatro di Radio Tre con Memoria di Ragazza. Una lettura e qualche canzone dall’omonimo libro di A. Ernaux, e per il programma “Ad Alta voce” legge Il gioco dei regni di Clara Sereni, nell’adattamento di L. Pavolini.
Dopo un Premio Ubu come migliore attrice non protagonista ricevuto nel 2007, nel 2015 le vengono riconosciuti il Premio della Critica, il Premio Ubu come miglior attrice dell’anno, e il Premio Le Maschere come miglior attrice non protagonista. Nel 2016 il Premio Hystrio all’interpretazione, e nel 2019 il Premio Eleonora Duse. Al cinema ha lavorato con Paolo Sorrentino ne La grande bellezza (2013), con Marco Bellocchio in Fai bei sogni (2015) e con Ludovico Di Martino ne La Belva (2019).