Un gioco al massacro della durata di 80 minuti: la rilettura di Leonardo Lidi, che cura adattamento e regia de La Signorina Giulia di August Strindberg, “la prima tragedia naturalista della letteratura tragica svedese” come scritto dallo stesso autore, è audacemente sottile.lo spettacolo, presentato e in collaborazione con il Festival dei 2 Mondi di Spoleto 2022, e in scena al Teatro Vascello di Roma (ultima replica oggi, ore 17), mette in scena tutto il conflitto di classe, fra ambizioni e pulsioni represse. La storia è nota: Julie, venticinquenne figlia di un conte, trascorre la serata di San Giovanni alla festa della servitù, mentre il padre è assente. Tenta in ogni modo di sedurre l’aitante, giovane domestico Jean, che si dichiara perdutamente innamorato di lei. Scoperti dai servitori, non riescono a fuggire e quando torna il conte, Jean, che non riesce a contrariare il suo padrone, propone alla contessina, ormai priva di reputazione, il suicidio. Al centro della storia, un sadico triangolo composto da tre personaggi interpretati da tre bravissimi attori che arricchiscono i personaggi, ic cui vengono vengono di tanto in tanto italianizzati, delle necessarie sfumature: ci sono Giulia o Julie, la superba e sprezzante Giuliana Vigogna, giovane figlia del conte, il servo Gianni o Jean, un validissimo Christian La Rosa, la cuoca Cristina o Kristin, la remissiva e composta Ilaria Falini. Tre personaggi incastrati in un gioco pericoloso e mortale che viene esemplificato immediatamente dalla monumentale scenografia di Nicolas Bovey (che cura anche le luci), una sorta di parte monolite che scuro che li relega in spazi angusti e claustrofobici. I personaggi hanno la minima libertà di spostamento, sugli spazi ricavati da una T orizzontale calpestabile, una piccola sezione verticale quadrata e la parte orizzontale della T che raggiungono solo scavalcandola. Ma anche lì lo spazio è minimo, perché non riescono a rimanere in piedi e sono costretti a rimanere seduti o a piegarsi, alle convenzioni e alla loro situazione praticamente ineluttabile che li lascia perennemente in bilico anche fisicamente. Lidi, sfrutta i costumi ottocenteschi, rigorosamente in bianco, nero e grigio, di Aurora Damanti e parte dalla scenografia oppressiva per mostrare efficacemente un gioco al massacro verboso e violento, fatto di ambivalenze e pulsioni contrastanti, attraverso un ritmo serrato. Julie e Jean sono profondamente ambivalenti: lei, superba e sprezzante, vittima della sua ansia di ribellione, lui, diviso fra ammirazione e disprezzo per quel mondo aristocratico che riesce ad afferrare per poi distruggere. Kristin capisce bene qual è il suo ruolo del mondo che rispetta ossequiosamente, spaventata dalle pulsioni eversive di padrona e servo pur se ciascuno sembra autovincolato in una mondo da cui sembra impossibile evadere. Rilettura di Strindberg tanto audace, quanto convincente. Ultima replica oggi, ore 17.
Fabiana Raponi