Servo di scena apre la stagione del Teatro Duse di Bologna
Ideato l’anno scorso per celebrare i cento anni dalla nascita di Turi Ferro, Servo di
scena di Ronald Harwood inaugura la stagione del Teatro Duse di Bologna
riscuotendo ampi consensi. Ed è proprio Guglielmo Ferro, figlio del grande teatrante
siciliano (famoso per l’interpretazione del carismatico protagonista) a dirigere questo
adattamento della celebre commedia inglese del 1979. Per certi versi più attuale che
mai, la vicenda ci riporta alla Seconda Guerra Mondiale. Durante una delle tante
repliche del Re Lear in un anonimo e polveroso teatro di provincia, un gruppo di
vecchi e se vogliamo improbabili attori non rinuncia ad andare in scena nonostante
fuori imperversino i bombardamenti.
Tutto ruota intorno alla figura del capriccioso e vanesio capocomico, il Sir (Geppy
Gleijeses) che, nonostante acciacchi e vuoti di memoria, si ostina a continuare le
repliche scatenando una serie di preoccupazioni e tensioni fra i membri della
compagnia. Al suo fianco (da ben sedici anni, come ribadisce ripetutamente) il fidato
e prodigo Norman (Maurizio Micheli), servo di scena ma anche (e forse soprattutto)
consigliere, suggeritore, segretario e amico. A fronteggiare la dirompente personalità
del Sir, Milady (Lucia Poli), prima attrice ma anche compagna/amante del
capocomico.
La lineare e semplice scenografia asseconda la dimensione meta teatrale del testo,
creando due livelli ben distinti: sopraelevato, il palcoscenico dove prende vita il
dramma shakespeariano, di cui vediamo il “backstage” con tanto di macchine del
vento e dei lampi, in basso invece l’alcova del primo attore, suo regno e rifugio, dove
si consuma la vera “tragedia”. Le condizioni di salute del Sir, già precarie e instabili,
si aggravano sempre di più fino al sopraggiungere dell’inevitabile morte lì, fra le
parrucche e gli amati oggetti di scena, fra le persone che più lo amano.
Servo di scena è un inno all’amore per il teatro, un omaggio al sacrificio delle tavole
di legno su cui tanti attori, soprattutto nelle epoche passate, hanno vissuto intere vite,
e non solo il lasso di tempo ben delimitato del tempo delle prove e della
rappresentazione vera e propria.
A Ferro il merito di un allestimento semplice, rivelatore e rispettoso del brillante
testo del drammaturgo inglese Harwood. A Maurizio Micheli il plauso più grande
per aver efficacemente reso il dualismo del personaggio di Norman, diviso fra la
dedizione assoluta per il Sir e l’abissale solitudine che da essa, irrimediabilmente,
deriva.
Erika Di Bennardo