Il Teatro Quirino di Roma ospita dal 22 al 27 novembre Filippo Dini che dirige e interpreta Il crogiuolo di Arthur Miller.
Miller racconta la nostra insensatezza e il nostro mistero, l’incomprensibile potenza dell’essere umano. Ci racconta di come l’obbedienza alle regole del vivere comune possa sostenere saldamente le colonne portanti di una comunità e al tempo stesso gettarla con grande velocità nel caos più profondo, nella follia.
Filippo Dini
Filippo Dini, dopo il successo di Così è (se vi pare), Casa di bambola e The Spank, affronta uno dei testi più lucidi e impietosi della drammaturgia americana. Arthur Miller scrive Il crogiuolo nel 1953, in pieno Maccartismo, e sulla spinta di quello stato di aberrazione sociale e di isteria collettiva compone un affresco drammatico, nel quale distilla l’ottusità e la feroce demenza che in determinate circostanze invadono l’animo umano. La pièce rievoca quanto accaduto durante la caccia alle streghe di Salem nel XVII secolo e trasforma quel momento così controverso della storia americana, durante il quale furono incrinati pericolosamente i pilastri dell’etica collettiva, in uno specchio impietoso delle ombre più nere e contorte della società contemporanea.
Prime note sullo spettacolo di Filippo Dini
Arthur Miller scrive Il crogiuolo nel 1953, durante quel periodo oscuro e violento che viene denominato comunemente Maccartismo (o anche “caccia alle streghe rosse”), che scatenò una vera psicosi anticomunista e si protrasse per tutti gli anni Cinquanta con strascichi anche oltre, generando terrore, tradimenti, condanne, morti.
Sulla spinta di questo stato di follia collettiva, Miller sceglie di rappresentare la sua società, la complessità, l’ironia e la comica demenza della sua contemporaneità e i suoi tragici esiti, raccontando uno degli episodi più misteriosi della storia americana: la caccia alle streghe avvenuta a Salem, in Massachusetts, nel 1692.
Tutto ebbe inizio dallo strano comportamento di un paio di adolescenti, che forse manifestavano solo la difficoltà di molte loro coetanee di tutte le epoche a superare quella terribile e beata età in cui si lotta furentemente per diventare adulti, desiderando la morte del fanciullo che ci tiene ancorati all’innocenza.
Fu così che i medici, non trovando ragioni scientifiche ai loro bizzarri atteggiamenti, rimandarono la faccenda alle autorità, alla comunità, quindi alla chiesa, al pastore.
Ne conseguì che le ragazze, accusate di essere preda di un maleficio, si videro costrette ad accusare altre persone dello stesso villaggio di averle stregate e grazie ad un crescendo di follia e paura, e grazie all’espandersi del fenomeno ad altre ragazze e di conseguenza ad altre persone accusate, 144 persone furono processate e 19 furono giustiziate mediante impiccagione.
Così andarono le cose nella realtà.
Miller racconta abbastanza fedelmente la storia, citando nomi e responsabilità, fedele a ciò che narrano gli atti del processo, con l’aggiunta di un torbido e fatale triangolo amoroso, ovvero la follia scatenante delle ragazze, che viene innescata nel dramma da una di loro, una leader di quel gruppo di piccole furie, Abigail Williams, che, dopo essere stata sedotta e abbandonata, scatena la più spaventosa delle vendette, per colpire prima fra tutte la moglie del suo amato e di conseguenza tutto il suo mondo.
L’arma della delazione fu il più potente ed efficace strumento adottato dalle autorità statunitensi nella lotta al Comunismo (la stessa arma con la quale fu accusato Arthur Miller dal suo amico Elia Kazan) e con la stessa ferocia e la stessa meschinità, l’arma della delazione sostiene tutto l’impianto narrativo della lotta alle streghe di Salem.
In tutto lo svolgersi della commedia assistiamo alla costruzione e al perfezionamento di un gigantesco congegno, creato per eliminare l’uomo: i pilastri dell’etica, le potenze dell’integrità e della morale, tutto ciò che il genere umano ha impiegato secoli e generazioni, guerre e rivoluzioni, a costruire. Fino alla distruzione del congegno stesso, nel finale. La morte di questo congegno si deve ad un uomo, un piccolo uomo che sceglie il sacrificio in alternativa alla delazione.
Miller riesce a raccontarci una favola meravigliosa, nera e al tempo stesso grottesca, carica di mistero e colma di ridicolo. Descrive una società giovane, quella americana del 1692, terrorizzata dai pericoli di una terra sconosciuta, una società compromessa dalle proprie stesse rigidissime regole. E contemporaneamente ci racconta il mistero e il fascino dell’adolescenza, quell’età in cui la passione germoglia ed esplode nella mente e nel corpo dell’essere umano, generando amore e odio con lo stesso fuoco e la stessa incomprensibile spinta. Ma ci racconta anche la follia delirante della sua epoca, l’insensatezza e il terrore di quegli anni oscuri.
Miller così ci racconta la nostra insensatezza e il nostro mistero, l’incomprensibile potenza dell’essere umano, la sua forza e il fascino di possederla, di domarla. Ci racconta di come l’obbedienza alle regole del vivere comune possa sostenere saldamente le colonne portanti di una comunità e al tempo stesso gettarla con grande velocità nel caos più profondo, nella follia.
Dopo più di due anni di pandemia e l’evolversi delle atrocità in Ucraina, questo testo suona adesso una musica nuova e terribile: noi stessi e la nostra epoca ribolliamo nel crogiuolo dell’orrore e della meschinità. Ogni scena, ogni battuta acquista oggi un significato contingente e bruciante, come se la Storia ci ponesse di fronte ad un baratro: non poter tornare indietro, non poter andare avanti. La delazione, appunto, i bassi giochi degli uomini di potere, e la nostra stessa viltà, ci hanno condotto qui: come agire? Dove trovare riparo? Come proteggere i nostri figli da ciò che abbiamo preparato loro? Sembra scritto per noi, che viviamo nell’oggi, con tutta la rabbia, l’incredulità e il gusto per il ridicolo di un intellettuale ferito nel profondo dall’ambizione e dall’arroganza di altri semplici esseri umani. Info e dettagli su teatroquirino.it.
FILIPPO DINI
IL CROGIUOLO
di Arthur Miller
traduzione Masolino d’Amico
con (in ordine alfabetico)
Virginia Campolucci, Gloria Carovana, Pierluigi Corallo, Gennaro Di Biase, Andrea Di Casa, Didì Garbaccio Bogin, Paolo Giangrasso, Fatou Malsert, Manuela Mandracchia, Nicola Pannelli, Fulvio Pepe, Valentina Spaletta Tavella, Caterina Tieghi, Aleph Viola
scene Nicolas Bovey
costumi Alessio Rosati
luci Pasquale Mari
musiche Aleph Viola
collaborazione coreografica Caterina Basso
aiuto regia Carlo Orlando
regia FILIPPO DINI