Al di là dell’apparente antisemitismo, il testo shakespeariano stigmatizza i rapporti sociali e di potere, i conflitti interreligiosi, il significato del denaro e il valore dell’amicizia nella società del XVI secolo, temi che sono universali.
La messinscena di cui Paolo Valerio cura regia e adattamento sulla traduzione di Masolino D’Amico, vede nel ruolo dell’ebreo e usuraio Shylock Franco Branciaroli, uno degli ultimi carismatici mattatori della scena teatrale, capace di far rifrangere, come la luce che attraversa un prisma, gli stati d’animo di Shylock incattivito dai maltrattamenti dei cristiani che lo chiamano cane usuraio e sputano al suo passaggio, culminante nella pervicace rivalsa quando pretende la libbra di carne del corpo di Antonio nel rispetto del contratto, fino al dileggio della legge che gli si ritorce contro. E, ultimo oltraggio, la figlia scappa con un cristiano. “Voi ci insegnate il male e noi lo mettiamo in pratica. Io, Shylock, sono il più bravo dei maestri” afferma.
La storia vede il ricco mercante Antonio chiedere in prestito tremila ducati a Shylock per l’amico Bassanio, fungendo da garante. Shylock, che ricambia il disprezzo che il mercante gli riserva, glielo concede ponendo a garanzia una libbra della «bella carne» vicina al cuore di Antonio. Parallelamente si sviluppa la trama delle relazioni amorose. Bassanio, grazie al prestito, può raggiungere Belmonte e aspirare alla mano della nobile Porzia che, obbedendo alla volontà paterna, la concederà a colui che farà la scelta opportuna fra tre scrigni, mentre il suo amico Graziano corteggia Nerissa, cameriera di Porzia. Intanto Jessica, figlia di Shylock, tradendo le aspettative paterne che la vorrebbero sposa di un ebreo, fugge con un “gentile”.
Le navi che trasportano le merci di Antonio vanno a fondo e il mercante, non potendo saldare il debito, deve acconsentire a far valere la crudele clausola.
Sarà Porzia, spacciandosi per un avvocato, a sostenere in tribunale con arguti e capziosi cavilli l’impossibilità per Shylock, che intanto affila caparbiamente il coltello, di riscuotere quanto reclama. Vinto dall’astuzia femminile (le donne sono strategiche nell’universo del Bardo), l’ebreo deve soggiacere alla vendetta di Antonio che ne esige la conversione al cristianesimo e la confisca dei beni a favore della figlia.
“Il testo di Shakespeare non è una tragedia -afferma il regista- quanto piuttosto una commedia nera, in cui si vuole far ridere, anche se è un riso amaro, spietato. Sono presenti due grandi tematiche: il denaro (e quindi il potere) e l’odio tra religioni come lotta tra culture; entrambi temi universali ed estremamente attuali”.
Sono fluide le sfaccettature dei due antagonisti, ora buoni ora perfidi in un’alternanza di circostanze, l’ebreo si appella alla giustizia e non ottiene nemmeno clemenza. La scena finale, in cui l’umiliato e beffato Sherlock appare con un’ostia in mano, tocca le corde della nostra compassione.
“Ho voluto che Branciaroli/Shylock fosse presente dall’inizio alla fine e ho scelto una scenografia essenziale che facesse pensare al muro del pianto, con un pavimento scuro e lucido. La scena finale è un’invenzione registica, ma che secondo me rispecchia bene la profonda costrizione del personaggio, che è stato da sempre bistrattato, emarginato e vilipeso e che non riesce a sopportare una simile imposizione. Insomma, ho voluto trasformarlo in un martire e restituirgli una sorta di dignità, che suscita empatia e commozione”.
Franco Branciaroli, perno intorno al quale gira la messinscena, delinea con velato sarcasmo e voce arrochita il suo personaggio che trascolora dalla livorosa perfidia alla rassegnata mitezza. Piergiorgio Fasolo tratteggia la figura di Antonio virante dal disprezzo all’arroganza supponente, un po’ di maniera la Porzia di Valentina Violo. Gli altri interpreti, sempre presenti in scena seduti su panche laterali, sono Francesco Migliaccio (Salerio/Doge), Stefano Scandaletti (Bassanio), Lorenzo Guadalupi (Lorenzo), Emanuele Fortunati (Solanio/Principe di Marocco), Giulio Cancelli (Graziano/Principe di Aragona), Dalila Reas (Nerissa), Mauro Malinverno (Lancillotto/Tubal), Mersila Sokoli (Jessica).
La struttura scenica di Marta Crisolini Malatesta è un muro nero di mattoni con aperture scorrevoli, ripartito verticalmente su due livelli: in basso il realistico ambiente veneziano col pavimento lucido che simula i riflessi della laguna, in alto la ammaliante Belmonte. Le luci nebbiose sono di Gigi Saccomandi, i costumi di Stefano Nicolao, le musiche di Antonio Di Pofi.
Tania Turnaturi