In scena al Teatro Duse di Bologna lo scorso weekend uno degli atti unici più noti di Eugène-Marin Labiche, il padre nobile del vaudeville. Liberamente tratto da L’affaire de la rue de Lourcine e arricchito da un taglia e cuci di fino da altri testi, Il delitto di Via dell’Orsina, tradotto da Giorgio Melazzi, è diretto da Andrée Ruth Sammah. Dalla Francia del secondo Ottocento si passa così all’Italia di epoca fascista.
Da un gigantesco equivoco e una sbronza veramente epica, nasce una situazione complessa dai risvolti tutti da scoprire. Due uomini si risvegliano nello stesso letto dopo una notte brava, si riconoscono a fatica e, fra spizzichi e bocconi, cercano di ricostruire la serata in questione, una reunion fra ex compagni di liceo finita in caciara. Massimo Dapporto e Antonello Fassari interpretano due personaggi molto diversi fra loro. Un ricco capofamiglia, elegante e raffinato, e un proletario rude e sfacciato, che fa il cuoco dove capita per sbarcare il lunario.
I due, complice un vecchio giornale e una serie di coincidenze, temono di aver commesso un delitto e orchestrano di tutto per coprire il tremendo misfatto a scapito di parenti e servitori.
Fra gag esilaranti, innumerevoli equivoci e misunderstanding, verità vestite da bugie (bianche) e pericolosi e traballanti sotterfugi, la commedia ci parla dell’eterno, controverso dilemma fra essere e apparire, essere schiavi o rifuggire le convenzioni sociali e le differenze di classe di un mondo che ci spinge a ricercare il primato ad ogni costo.
Il delitto di via dell’Orsina nasce prosa ma diventa varietà grazie alle musiche di Alessandro Nidi, cantate sul palco dai due attori. Il ritmo tragicomico viene così spezzato da una sferzata di leggerezza che evidenzia ancor di più la bravura e la sintonia della coppia Dapporto/Fassari, perfettamente complementari, due mattatori del palcoscenico. Un plauso anche al resto del cast, composto da Susanna Marcomeni, Marco Balbi, Andrea Soffiantini, Christian Pradella e Luca Cesa-Bianchi.