“Bisogna voler bene”. Si conclude così al teatro Donizetti di Bergamo, con queste tre parole, dense di significato: “La vita davanti a sé” la commedia tratta dall’omonimo romanzo di Roman Gary Emile Ajar con un Silvio Orlando a dir poco eccezionale alla regia, – che ha curato pure la riduzione del testo – ma soprattutto nell’interpretazione della storia di Momò, il bambino arabo di 10 anni protagonista del romanzo. In quelle tre parole che concludono il libro sono racchiusi i sentimenti che gli uomini non devono dimenticare mai di riservare ai propri simili che versano in una condizione d’indicibile difficoltà e che stentano ad andare avanti nella loro vita quotidiana.
E proprio nella pomeridiana di ieri si è chiusa così una settimana di repliche al teatro bergamasco – compresa quella straordinaria delle 17 dello scorso sabato – che testimonia quanta “voglia” di andare a teatro ci sia tra gli spettatori. “E pensare che pure ci pagano…” ha ammesso un grande Silvio a fine spettacolo di fronte ad un teatro gremito e plaudente. “Ma io ringrazio voi” (sempre Orlando rivolto al pubblico davanti a sé) che tra il serio e il faceto non manca d’evidenziare gli unici tre posti rimasti vuoti in platea tra le risate di un pubblico entusiasta.
Per il resto è un crescendo di emozioni sin da quando è lo stesso Silvio prima ancora che si apra il sipario che con una voce fuori campo allerta gli spettatori dell’imminente inizio dello spettacolo.
Si tratta di una storia pubblicata nel ’75 e adattata per il cinema nel ’77 che in pratica fa da sfondo all’amore “materno” tra questo bimbo e madame Rosa, ormai anziana ex prostituta ebrea. La vicenda è il racconto a ritroso della vita tra Momò e madame Rosa che si snoda in un condominio della periferia francese, nel quartiere multietnico di Belleville, nella pensione di madame Rosa appunto, “che ora sbarca il lunario prendendosi cura degli incidenti sul lavoro delle colleghe più giovani”.
E’ il racconto “crudo” di una storia come tante che se ne potrebbero ricavare nel vissuto delle persone che vivono ai margini della società, dove però non contano i legami di sangue e le tragedie della storia che svaniscono davanti alla vita, al semplice desiderio ed alla gioia di vivere.
Ecco per cui Silvio Orlando conducendoci per mano dentro le pagine del libro di Gary, “con la leggerezza e l’ironia di Momò” diventa così proprio quel bambino, facendoci riscoprire con naturalezza il suo dramma dove vengono elencati i momenti belli e quelli brutti, vissuti da quel ragazzo “trovatello” che si lega a filo doppio a madame Rosa dove commozione ed ironia s’alternano in un questo insieme vorticoso di vite vissute. Fino al racconto straziante della vita di madame Rosa che si spegne “davanti a sé”.
Un racconto ancora attuale dunque in cui convivono culture, religioni ed etnie diverse nel cuore di un’Europa dove le differenze emergono nella loro complessità. A fine spettacolo un bis “inedito” con l'”Ensemble dell’orchestra Terra madre” (bravissimi i componenti Simone Campa alla chitarra battente ed alle percussioni, Marco Tardito al clarinetto e sax, Daniele Mutino alla fisarmonica e Kaw Sissoko al kora e djembe) che ha accompagnato sin lì Silvio Orlando nel suo racconto e, quest’ultimo che “aggancia” il suo flauto traverso ed insieme all’Ensemble suona tra il tripudio di un pubblico festante che “batte” le mani a tempo di musica. Con Orlando – sempre con la battuta pronta – a dire, soddisfatto: “mentre prima facevamo fatica a tenervi dentro casa per via della pandemia, ora facciamo fatica a togliervi dal teatro” ed aver finanche il tempo per agguantare due piatti orchestrali e “percuoterli” entrambi, a suon di musica tra l’ilarità generale.