In scena al Teatro Arcobaleno di Roma fino al 18 dicembre l’ultima tragedia di Euripide. Con Andrea Tidona e Alessandra Fallucchi, regia di Alessandro Machìa
Una drammaturgia potente, emotivamente moderna, sospesa e in attesa del sacrificio annunciato fin dal prologo. Una messinscena nuda, di sole luci, tutta al servizio del potere della parola. Una regia che esalta, come ben evidenziò nei primi anni Sessanta il filologo tedesco Max Pohlenz, il “dramma psicologico” e la messa “in rilievo di sentimenti umani e dell’umana debolezza e grandezza”.
E un gruppo d’attori eccellente, che sa ben rappresentare i conflitti interiori, le viltà, i repentini cambiamenti dei vari personaggi.
In scena al Teatro Arcobaleno di Roma (in via Francesco Redi 1a) fino al 18 dicembre, “Ifigenia in Aulide” (nella versione italiana del dramaturg Fabrizio Sinisi) è uno spettacolo davvero da non perdere. Ultima tragedia di Euripide, scritta tra il 407-406 a.C. e messa in scena per la prima volta dopo la sua morte, l’opera è ambientata sulle rive del mare di un’insenatura sabbiosa della Beozia, dove sono accampati i greci, in attesa di partire per Troia dove andare a far guerra, bloccati a terra a causa di una persistente bonaccia.
Il vento tornerà a soffiare solo se Agamennone, condottiero dell’esercito greco, sacrificherà sua figlia Ifigenia alla dea Artemide.
Con la promessa del matrimonio con Achille, il re convoca la figlia (appunto promessa sposa all’eroe) e la moglie Clitemnestra al campo greco: dopo pentimenti, sotterfugi e tormenti interiori Agamennone è costretto a svelare l’inganno. Ma la storia è nota: il destino è già scritto, il rito sacrificale sostituisce la cerimonia nuziale, e la tragedia corre via verso il suo terribile epilogo.
Lo spettacolo, si diceva, punta decisamente sull’eccezionale maestria degli interpreti. Andrea Tidona (Nastro d’argento come miglior attore per il film “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana) è un Agamennone straordinario, di cui sottolinea tutte le ambivalenze: è capo dell’armata greca, ambizioso e bramoso di potere e comando, ma è anche padre, in preda a sentimenti di compassione e vergogna per il sacrificio che chiede alla figlia. Una personalità potente eppure debolissima, dai mutamenti d’animo rapidi e mille ripensamenti e paure. Una pensosa fragilità che Tidona esprime perfettamente con una recitazione profonda, commossa, ricca di controllate sfumature.
“Nella costruzione dello spettacolo – spiega il regista Alessandro Macchia – ho cercato di far emergere la violenza che abita il testo e le contraddizioni di personaggi che Euripide presenta come ‘umani troppo umani’: la loro inadeguatezza al mito, l’abisso del privato al di sotto del mascheramento della parola pubblica, l’ambizione, la doppiezza”. Un intento riuscito, che si mostra fin dall’inizio, dal primo dialogo tra Agamennone e il fratello Menelao (interpretato superbamente da Paolo Lorimer): i due Atridi, altrettanto instabili e intimamente violenti, si smascherano l’un l’altro, in un drammatico confronto che tiene insieme pietà ed egoismo, sincerità e ipocrisia.
Altrettanta complessità sanno ben rappresentare tutti gli altri interpreti. A dare corpo e voce a Clitemnestra è la bravissima Alessandra Fallucchi, che padroneggia tutti i cromatismi del suo personaggio: l’orgoglio di condurre la figlia a nozze così fortunate, la determinazione nel voler esercitare i doveri del proprio ruolo di madre, la disinvoltura con cui tratta il futuro genero Achille, la disperazione e il cupo dolore per il sacrificio di Ifigenia, l‘odio tetro che riversa su Agamennone.
Convincenti sono le prove di Carolina Vecchia nel ruolo di Ifigenia, che passa con grande repentinità dalla ragazzina ingenuamente affezionata al padre alla scelta di morte volontaria con spirito patriottico e per assicurarsi gloria eterna; e di Roberto Turchetta nei panni di Achille, qui del tutto privato del carattere eroico dell’Iliade e invece ritratto come un giovane immaturo, falsamente coraggioso, incapace a tutto.
A completare la riuscita dello spettacolo vanno anzitutto menzionate le quattro coreute (Lorenza Molina, Carlotta De Cesaris, Elisa Galasso e Chiara Scià), intense nel loro conservare e proporre la memoria di eventi mitici. Da citare, infine, sono i costumi di Sara Bianchi, le luci di Giuseppe Filipponio, i suoni di Giorgio Bertinelli e i movimenti coreografici di Fabrizio Federici.
Marco Togna