Al Teatro Era di Pontedera ritorna dopo un anno di pausa un’edizione nuova e accurata
de La Bottega del caffè di Carlo Goldoni firmata da Paolo Valerio, attore, regista,
direttore artistico del Teatro Stabile di Verona, con protagonista Michele Placido, che non
ha certo bisogno di presentazioni, icona del nostro cinema, regista e attore fondamentale
nel nostro teatro, conosciuto per il ruolo del commissario di Polizia Corrado Cattani,
interpretato nelle prime quattro stagioni della celebre serie televisiva La piovra, Orso
d’argento per il miglior attore al Festival di Berlino per Ernesto di Salvatore Samperi e 4
David di Donatello al suo attivo.
Accogliamo appieno e portiamo sulla scena tutta la vitalità e il divertimento della
commedia, la comprensione che Goldoni mostra per l’uomo, di cui ritrae con sottigliezza le
virtù e i lati oscuri, il suo amore viscerale per il teatro, per la scrittura, per gli attori, sulle cui potenzialità costruiva personaggi universali. (Paolo Valerio)
Michele Placido impersona Don Marzio, nobile napoletano che passa le giornate ad
osservare seduto, sorseggiando un buon caffè, il piccolo mondo antico e moderno di un
campiello veneziano e con malizia ne intriga i destini, ne diffonde le maldicenze, ne
disvela i sotterfugi e i segreti. Una specie di Deus ex machina nel raccontarci con
umorismo le vite degli altri personaggi e allo stesso tempo il Capro espiatorio della furia di
chi è messo a nudo nelle sue marachelle, nei suoi errori, nelle sue peripezie amorose e
non solo. Il testo ha una sua peculiare coralità, un impeccabile congegno comico, seppur
costruito con leggiadria, con ritmi vorticosi fra i personaggi, in cui la centralità del
personaggio di Placido era già stata assicurata e sancita dallo stesso Goldoni.
Un chiacchierone maldicente, molto originale e comico è uno di quei flagelli dell’umanità
che preoccupa tutti quanti, infastidisce i frequentatori abituali del caffè. [..] Quello del
maldicente era applicabile a molte persone conosciute. Una di esse se la prese con me;
fui minacciato, si parlava di spade, coltelli, pistole; ma, curiosi, forse, di vedere sedici
commedie nuove in un anno, mi concessero il tempo di terminarle. (Carlo Goldoni)
In questa famosissima commedia, la più famosa delle sedici nuove commedie, scritta nel
1750 da Carlo Goldoni non succede nulla di eccezionale ma eccezionale diventa tutto
quello che riguarda le piccole grandi storie che si vedono intersecarsi sulla scena: c’è chi
si perde nel gioco, due amanti si allontanano, poi si ritrovano e poi perdonano, una moglie
bacchetta il suo fedifrago marito, qualche sogno nasce e un altro s’infrange, orecchini che
passano di mano in mano, prestiti di denaro, vincite e perdite, ma soprattutto si spettegola,
si vive, si ride e diverte. È Venezia, come dice Don Marzio, “un paese in cui tutti vivono
bene, tutti godono la libertà, la pace, il divertimento.”
Questa Commedia ha caratteri tanto universali, che in ogni luogo ove fu ella
rappresentata, credevasi fatta sul conio degli originali riconosciuti. Il Maldicente fra gli altri
trovò il suo prototipo da pertutto, e mi convenne soffrir talora, benchè innocente, la taccia
d’averlo maliziosamente copiato. No certamente, non son capace di farlo.
I miei caratteri sono umani, sono verisimili e forse veri, ma io li traggo dalla turba
universale degli uomini, e vuole il caso che alcuno in essi si riconosca. Quando ciò
accade, non è mia colpa che il carattere tristo a quel vizioso somigli; ma colpa è del
vizioso, che dal carattere ch’io dipingo, trovasi per sua sventura attaccato. (Carlo
Goldoni)
Accanto al personaggio di Don Marzio una compagnia d’interpreti in scena espressivi,
dinamici e ispirati: Luca Altavilla, Emanuele Fortunati, Ester Galazzi, Anna Gargano,
Armando Granato, Vito Lopriore, Francesco Migliaccio, Michelangelo Placido, Maria
Grazia Plos, capaci di ricreare quello spazio vitale disegnato dalle parole di Goldoni, quel
microcosmo storico, sociale e umano, incastonato per essere universale, perché tratteggia
i caratteri dell’uomo di ogni tempo attraverso l’ironia della commedia, la sua innata
acutezza nello sviscerare le situazioni più quotidiane, in un luogo fisico e preciso di una
città come una piazza, o come una bottega, che diventa però cassa di risonanza dei tipi
umani, trasversali nel tempo.
È una piazzetta nella città di Venezia. Di fronte vi sono tre botteghe: quella in mezzo è un
caffè, quella a destra è occupata da un parrucchiere e l’altra a sinistra da un biscazziere.
Da una parte vi è, fra due calli, una casetta, abitata da una ballerina, dall’altra, una
locanda. (Carlo Goldoni)
In questo spaccato di mondo, dalle prime luci dell’alba fino alla notte, in un giorno
invernale durante il carnevale, si snodano le vicende allegre e energiche di questa
commedia, si intessono i legami trai personaggi, le burle, i comici pianti, i pettegolezzi e i
silenzi ammonitori. La scena del teatro con la sua magica ampiezza di vedute si situa
appunto nel settecento veneziano e nel mondo contemporaneo, la penna del Goldoni
traccia quei sentimenti così universali da unirci al di là dello spazio e del tempo, con la
leggerezza del genio e l’acume del letterato, in un viavai e crescendo umoristico, sempre
nobile anche quando miserabile, perché la genuina curiosità verso l’uomo affina
l’indulgenza e smussa il giudizio in comprensione benevola, ironica, perciò lungimirante.
Michele Placido di Carlo Goldoni con in o.a. Luca Altavilla, Emanuele Fortunati, Ester
Galazzi, Anna Gargano, Armando Granato, Vito Lopriore, Francesco Migliaccio,
Michelangelo Placido, Maria Grazia Plos scene Marta Crisolini Malatesta costumi Stefano
Nicolao luci Gigi Saccomandi musiche Antonio Di Pofi movimenti di scena Monica Codena foto Simone Di Luca regia Paolo Valerio produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia,
Goldenart Production, Teatro della Toscana