“Napoli milionaria!”, il dramma lirico in tre atti con le musiche di Nino Rota su libretto di Eduardo De Filippo e tratta dalla sua celeberrima ed omonima commedia al teatro Donizetti piace al numeroso pubblico di Bergamo. Innanzitutto è un trionfo delle note del grande Maestro milanese in un felice connubio con la napoletanità che riesce mirabilmente a liricizzare il testo con l’orchestra de i “Pomeriggi musicali” diretta da James Feddeck, che su di sé fa letteralmente calamitare l’attenzione di tutti gli spettatori, senza dimenticare l’esibizione autorevole de il coro di “OperaLombardia”.
Di “Napoli milionaria!” si sa tutto o quasi, una commedia “che quasi tutti abbiamo visto, si legge in una nota del regista Arturo Cirillo – se non in teatro, in televisione, o al cinema con il grande Totò”. Però dopo tanti anni dal suo debutto al festival dei Due mondi di Spoleto nel ‘77, ecco che viene ripresentata in una nuova veste in cui “dal testo drammaturgico al libretto d’opera – continua il regista – varie cose mutano: la lingua che è più italianizzata, l’ironia che è meno presente, la vicenda stessa che prende risvolti diversi”.
Tuttavia, l’opera al Donizetti entusiasma ed attrae il pubblico in ciascuno dei tre atti in un crescendo continuo tra sentimenti contrastanti. In un periodo turbolento e difficile nel pieno della Seconda guerra mondiale, ecco dunque come la storia della famiglia Iovine s’intreccia a doppio filo con gli avvenimenti tristi di quegli anni. Con don Gennaro (Mariano Buccino) il capofamiglia, che manda avanti una famiglia con vari espedienti assieme alla moglie Amalia (Clarissa Costanzo) con la vendita abusiva del caffè.
A pagarne le conseguenze lo stesso Gennaro che all’arrivo del brigadiere dei carabinieri Ciappa (Alberto Comes) venuto per arrestarlo si finge morto davanti alla disperazione dei parenti che lo attorniano implorando il militare nel tentativo invano di convincerlo che sia deceduto. Il brigadiere, infatti, dal canto suo, non ci crede proprio che sia morto, nonostante i bombardamenti intensi ed assidui in città che avrebbero spaventato chiunque anche uno vivo che si finge morto, eppure, don Gennaro non si smuove per nulla dal letto mantenendo, eufemisticamente, un aplomb sdraiato da “perfetto inglese”. Tuttavia il brigadiere riesce a convincere il “finto morto” a rinsavire promettendo che non lo arresterà più, ammirato dalla “resistenza” tenace nel sapersi non disvelare.
Il secondo atto s’apre con la guerra che termina e con una Napoli che verrà finalmente liberata dalle forze alleate. Qui Amalia, compare vestita a festa e piena di gioielli con cui ha elevato la sua situazione personale e familiare facendo fortuna associandosi in un commercio poco pulito assieme ad un affascinante don Errico “Settebellizze” (un bravo Riccardo Della Sciucca) di cui quel giorno si festeggerà il compleanno e che per la speciale occasione propone alla donna d’unire agli affari il loro amore di cui lei peraltro non fa mistero più di tanto. Ed è in questo contesto che rientra il marito che nel frattempo era partito per il fronte, stanco, ma contento, anche se nel tourbillon dei festeggiamenti in onore di don Errico, non viene considerato ed ascoltato da nessuno. E mentre tutti ripetono che “la guerra è finita”, Gennaro invece è convinto che non sia proprio così: se si pensa a chi è morto in guerra, alle sciagure patite, ora si tratterà di riprendere un trend che non potrà essere più come prima. In questo senso, c’è pure la figlia Maria Rosaria (Maria Rita Combattelli) che sedotta e abbandonata da un militare americano rientra tra tali sventure alla stessa stregua di altre disgrazie familiari come il loro figlio Amedeo (Marco Miglietta) che muore inaspettatamente a seguito di una sparatoria con i carabinieri che cercano d’arrestarlo assieme a Peppe O cricco (Pasquale Greco) perché sorpreso a rubare le ruote delle automobili che poi rivendeva… Ed allora “l’umanità – diciamolo con il regista – più che “dover passare a nuttata” sembra che debba solo addormentarsi, cullata sulle note di una tragica ninna nanna, che una madre dolente canta al figlio morto; addormentarsi per non pensare, e non conoscere la volgarità e lo scandalo dalla realtà”.
Poi tutti sul palcoscenico per oltre cinque minuti di applausi scroscianti per tutti con il maestro del coro Diego Maccagnola che guadagna il palco insieme al suo gruppo per gli applausi; applausi che s’accrescono e diventano più calorosi allorquando compare pure il direttore Feddeck per il giusto tributo ad un’orchestra grande protagonista di una serata memorabile, mentre più di qualcuno grida al loro indirizzo: dei “bravi” strameritati.