Ne “Il berretto a sonagli” c’è quasi tutto Luigi Pirandello. Nella domenica che ha chiuso con la pomeridiana la sua settimana di repliche al teatro Donizetti di Bergamo per un altro sold out, la commedia in due atti dello scrittore e drammaturgo siciliano portata in scena da un superlativo Gabriele Lavia – che nei panni di Ciampa ha interpretato lo scrivano di casa Fiorica oltre a curarne la regia – ha saputo egregiamente scandagliare l’animo umano e i sentimenti che da esso ne sono scaturiti.
Va detto come Lavia nella commedia abbia saputo oltretutto “rispolverare” il dialetto siciliano dei suoi personaggi – come lo era, probabilmente, nel suo iniziale adattamento, quando nel 1917, comparve per la prima volta in scena – che hanno, contestualmente ed efficacemente “tradotto” espressioni e parole in italiano, laddove necessario; ebbene, tutto ciò ha ancora più emotivamente consentito d’avvicinare il pubblico all’opera dell’autore di Girgenti.
E’ la storia e la contestuale “tragedia” vissuta dai componenti di una famiglia in vista nel paese siculo in cui è ambientata l’opera con la signora Beatrice Fiorica (una brava Federica Di Martino) che vuole lavare l’onta del tradimento del marito: il cavaliere Fiorica con la bella e prorompente Nina Ciampa (Beatrice Ceccherini) moglie dello scrivano, affinché tutti sappiano. In una commedia nella quale più volte il pubblico ha sorriso e riso di gusto, tuttavia, anche qui, Pirandello spinge a riflettere sulle difficoltà di un’esistenza nella quale ciascuno non è mai “padrone” di se stesso perché condizionato perennemente dal giudizio incontrastato di compaesani impiccioni che godono alle spalle dei malcapitati, laddove tutti sanno, ma nessuno realmente veramente sa. Soprattutto uno come l’anziano Ciampa che diventa il prototipo di una comunità che lo sospinge verso l’annullamento, nonostante s’affatichi non poco ad apparire ciò che, suo malgrado, non è, nel voler a tutti i costi difendere la propria onorabilità persino dinanzi a coloro (la famiglia Fiorica) che gli avevano consentito di lavorare fino a quel momento.
Le scene, del resto, di Alessandro Camera con figure stilizzate di ogni genere (dal cittadino comune al prete etc.) nel rimanere costantemente presenti in scena fanno comprendere come le loro ombre stiano a guardare, ad osservare tutto ciò che facciamo, non divenendo noi gli autori e gli artefici del nostro destino molto spesso legato a quello che ci succede intorno divenendone il più delle volte delle vittime, anche qui del tutto “consapevoli”.
Pirandello e Lavia insieme fanno della vita uno caleidoscopio di situazioni ed emozioni contrastanti in una sorta di farsa a tratti grottesca per altri versi perversa, ma che invade letteralmente il nostro io dove soltanto la pazzia può “forse” salvarci dalla condizione che viviamo. Un pò come è successo al povero Ciampa che sarebbe stato disposto finanche ad uccidere il cavaliere Fiorica e sua moglie Nina pur di uscirne “pulito”. Ma la soluzione non è gradita perché troppo cruenta, a tal punto, che l’unica “meno impegnativa” è quella della signora Beatrice di fingersi pazza per qualche mese e dire, paradossalmente, la verità: “Ciampa è becco!”; quella verità che detta però da una pazza non può evidentemente risultare credibile.
Per il resto fantastici sono stati: la vecchia serva Fana (Maribella Piana) con la rigattiera La Saracena (Matilde Piana) e un gagliardo signor Fifi La Bella (Francesco Bonomo) fratello di Beatrice e la loro madre Assunta La Bella (Giovanna Guida), con uno scoppiettante e colorito delegato Spanò (Mario Pietramala). Vanno altresì menzionati i costumi che sono stati ideati dagli allievi del Terzo anno dell’accademia Costume & moda (Matilde Annis, Carlotta Bufalini, Flavia Garbini, Ludovica Ottaviani, Valentina Poli, Stefano Ritrovato, Nora Sala – con il coordinatore Andrea Viotti) con le musiche di Antonio Di Pofi e le luci di Giuseppe Filipponio e gli applausi scroscianti e convinti di un pubblico entusiasta.