Che Testimone d’accusa della regina del giallo Agatha Christie sia un testo praticamente inimitabile per la perfezione del meccanismo, lo conferma anche il suo ininterrotto successo, dal 1925 fino ai giorni nostri e l’allestimento in scena al Teatro Quirino di Roma (fino al 29 gennaio) con la regia di Geppy Gleijeses è una confezione assolutamente pregevole che rispecchia tutto il valore del testo originale.
In Testimone d’accusa c’è tutto: un dramma giudiziario dal meccanismo perfetto, più di qualche nota autobiografica (la Christie fu tradita dal primo marito e poi sposò un uomo molto più giovane di lei), tutta l’ironia e lo humour inglese della geniale scrittrice. Tutto rigorosamente in salsa british, fra avvocati, presunti assassini e aule di tribunali.
Nato come racconto breve, trasformato in pièce teatrale a Londra nel 1953 che riscosse un grande successo anche in Europa e oltreoceano, Testimone d’accusa deve la sua estrema popolarità anche al magnifico e omonimo film di Billy Wilder. Certamente l’allestimento teatrale è più tagliente e asciutto della pellicola, ma il risultato è altrettanto esaltante.
Avvincente, infernale, totalmente vorticoso il meccanismo perfetto di questo dramma con un crescendo di tensione inarrestabile per concludersi con un finale rutilante e inaspettato.
La regia asciutta, ma molto efficace e attenta di Geppy Gleijeses (per una produzione Gitiesse Artisti Riuniti) sulla traduzione di Edoardo Erba, con severità e con equilibrio in scena la tensione di un testo sempre avvincente anche per chi lo conosce già. D’altra parte il meccanismo è talmente rodato e perfetto che lo spettacolo (poco più di due ore senza intervallo) scorre rapidamente in un crescendo di tensione quasi reveliano.
La trama è nota e verte intorno a un omicidio: Leonard Vole viene accusato dell’omicidio della ricca e anziana Emily French che lo ha nominato erede del suo patrimonio. L’unica che potrebbe fornirgli un valido alibi, è la moglie Romaine, ma proprio la donna diventa il suo principale testimone d’accusa. Ma è solo l’inizio di un meccanismo perfetto carico di colpi di scena e rovesciamenti inaspettati.
Oltre a una regia molto equilibrata che osserva doverosamente il testo originale, ma senza stritolarlo, e che punta su un rigido realismo in scena, risultano decisamente in parte gli attori.
Carismatica la prova Geppy Gleijeses anche nel ruolo dell’inappuntabile e misurato avvocato Wilfrid Robarts (sostituisce temporaneamente Giorgio Ferrara) che sceglie di patrocinare una causa che sembra essere persa in partenza. Ottime le prove anche degli altri attori in scena, il sorprendente Giulio Corso nel ruolo di Leonard Vole, un misto di ingenuità e bellezza spavalda, bravissima anche Vanessa Gravina che emula la straniera, algida Dietrich.
Anche il resto del cast, ciascuno con una precisa caratterizzazione del personaggio, risulta particolarmente indovinato. Grandiose le scene di Roberto Crea che ricreano gli interni dello studio di avvocati e l’aula di tribunale, d’epoca i pregiati costumi di Chiara Donato, puntano alla drammatizzazione le luci di Luigi Ascione, cariche di tensione, le musiche di Matteo D’Amico. Da annotare due particolarità dello spettacolo: la presenza di uno stenografo in scena durante il processo che scriverà i verbali del processo su una macchina stenografica autentica del 1948 e i sei giurati che saranno selezionati sera dopo sera tra il pubblico in sala. Fino al 29 gennaio a Roma, info e dettagli su www.teatroquirino.it.
Fabiana Raponi