Teatro della Pergola | Latella dirige “Chi ha paura di Virginia Woolf?” di Albee – La strana notte di due coppie tra confessioni, accuse e bugie con Bergamasco, Marchioni, Fededegni, Giannini
14 – 19 febbraio | Teatro della Pergola
(martedì, mercoledì, venerdì, sabato, ore 21; giovedì, ore 19; domenica, ore 16)
Sonia Bergamasco, Vinicio Marchioni, Ludovico Fededegni, Paola Giannini in
CHI HA PAURA DI VIRGINIA WOOLF?
di Edward Albee
traduzione Monica Capuani
dramaturg Linda Dalisi
regia Antonio Latella
scene Annelisa Zaccheria
costumi Graziella Pepe
musiche Franco Visioli
luci Simone De Angelis
produzione Teatro Stabile dell’Umbria
con il contributo speciale della Fondazione Brunello e Federica Cucinelli
Durata: 2h e 40’, più intervallo.
Al Teatro della Pergola, dal 14 al 19 febbraio, va in scena la strana notte di due coppie tra confessioni, accuse e bugie. Antonio Latella dirige Sonia Bergamasco, Vinicio Marchioni, Ludovico Fededegni, Paola Giannini, in Chi ha paura di Virginia Woolf? di Edward Albee nella nuova traduzione di Monica Capuani, dramaturg Linda Dalisi, produzione Teatro Stabile dell’Umbria. Sonia Bergamasco ha vinto il Premio UBU 2022 come miglior attrice per il ruolo di Martha e Ludovico Fededegni il Premio UBU 2022 come miglior attore under 35 per l’interpretazione di Nick.
Dopo Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams con protagonista sempre Vinicio Marchioni, Latella torna alla drammaturgia americana e sceglie Albee per svelare i meccanismi che svuotano le parole di significato e per mostrare come il linguaggio sia l’arma più efferata per ridurre a brandelli la maschera in cui ciascuno di noi si nasconde.
«Un testo realistico, ma che diventa visionario – afferma Latella – per la potenza del linguaggio, per la maniacalità della punteggiatura e per la visionarietà, dovuta ai fumi dell’alcool e alle vertiginose risate che divorano e fagocitano i protagonisti. Chi ha paura di Virginia Woolf? Se c’è qualcuno alzi la mano.»
Il 15 febbraio, alle 17, Sonia Bergamasco presenterà il suo ultimo libro per La Nave di Teseo, Il quaderno, alla libreria La Feltrinelli di Firenze. Il 17 febbraio, alle 18, il cast dello spettacolo incontra il pubblico al Teatro della Pergola. Coordina Matteo Brighenti.
L’ingresso a entrambi gli eventi è libero fino a esaurimento dei posti disponibili.
Il dramma borghese e psicologico Chi ha paura di Virginia Woolf?, scritto da Edward Albee nel 1962, ospita un autentico gioco al massacro fra due coppie. La critica lo ha spesso liquidato come gemello americano del drammaturgo britannico Harold Pinter, anche perché ha contribuito a diffondere negli Stati Uniti le tendenze drammatiche europee della seconda metà del XX secolo, ma Albee merita certamente un’attenzione speciale e una riscoperta da parte del pubblico italiano.
L’occasione l’ha creata Latella nel 2021, anche se i frutti del suo lavoro si sono raccolti solo dopo. In pieno lockdown, con i teatri ancora chiusi al pubblico, il pluripremiato regista, appassionato ri-lettore di classici novecenteschi e di drammaturgia statunitense, ha diretto (a porte chiuse) un allestimento di Chi ha paura di Virginia Woolf? in una nuova traduzione di Monica Capuani, dramaturg Linda Dalisi, produzione Teatro Stabile dell’Umbria, con protagonisti Sonia Bergamasco, Vinicio Marchioni, Ludovico Fededegni, Paola Giannini. Ora, dopo la trionfale tournée nel 2022, arriva in scena al Teatro della Pergola dal 14 al 19 febbraio.
Autore di oltre trenta testi e vincitore (tra gli altri) di tre premi Pulitzer e di due Tony per il teatro, Albee ha diviso fino alla fine la critica. Nonostante questo, Chi ha paura di Virginia Woolf? è diventato un vero e proprio classico della drammaturgia americana: la sola edizione del debutto totalizzò 664 repliche consecutive a Broadway. L’adattamento cinematografico del 1966, opera prima di Mike Nichols, con Richard Burton ed Elizabeth Taylor, è dato poi all’autore fama internazionale.
La storia da realistica si fa visionaria, quasi onirica, nella versione lacerante e vorticosa voluta da Latella per una vicenda che si svolge nelle poche ore notturne in cui una coppia di mezza età, Martha e George, ospita in casa una coppia più giovane, formata da Nick, collega di George, e da sua moglie Honey. Un’ospitalità che si rivela, però, sempre più insidiosa e insostenibile, ma al tempo stesso coinvolgente.
Proporzionalmente ai fumi dell’alcool salgono i toni del confronto fra i protagonisti, le provocazioni, le sfide, con il contrappunto delle note suonate da Martha. Al pianoforte, infatti, sin dalla prima scena il motivetto «Who’s afraid of the big bad wolf?», ovvero «Chi ha paura del grande lupo cattivo?», viene rievocato e disseminato per tutto il testo. Una melodia spesso cantata dai bambini anglofoni che riprende con ironia la paura del lupo cattivo, la paura di non adempiere alle regole imposte ed essere puniti per questo. È proprio questa canzone infantile che viene dall’autore volutamente “storpiata” con un gioco di parole in «Who’s afraid of Virginia Woolf», il «Chi ha paura di Virginia Woolf?» del titolo.
Una scelta non certo casuale. «La Woolf – scrive Latella nelle note di regia – è presente nei due protagonisti che fanno da specchio alla giovane coppia scelta come sacrificio di questo violentissimo e disperato amore. La Woolf è presente anche in una idea di narrazione che riguarda lo stesso Albee: “Ogni volta che entra la morte, bisogna inventare, mentire, ricostruire. La morte la puoi vincere solo con l’invenzione”. Ed è proprio quello che fa fare Albee ai suoi protagonisti, prende spunto – continua Latella – da questa frase della Woolf e porta questa coppia, ormai morente, a inventare per ricrearsi, per restare in vita, a scegliere di inventare un figlio mai esistito, ed è spiazzante che lo faccia proprio lui che fu adottato. Bisogna scegliere di spiazzare la morte, di vincere la depressione, la paura, forse anche di anticiparla, proprio come fece la grande Virginia Woolf».
Nello spazio di un claustrofobico salotto, i padroni di casa danno sfogo ai reciproci rancori, mentre i due ospiti vengono travolti da uno spettacolo che sembra prefigurare il loro stesso destino. Sullo sfondo, l’illusorio sogno americano. Il testo, generalmente trattato come testo realistico, è disseminato di elementi da teatro dell’assurdo, ma rispetto ad altri dell’autore è sicuramente più misurato, come spiega la dramaturg del progetto, Linda Dalisi, collaboratrice di lungo corso di Latella: «In tutta la produzione di Albee c’è una volontà famelica di sperimentare, di mettere alla prova il linguaggio, sempre in direzione di una accentuata musicalità. La sua punteggiatura è ricercatissima. Leit motiv delle sue opere? Una lucidissima osservazione della rete di convenzioni e illusioni in cui siamo intrappolati».
Sulla scena di Annelisa Zaccheria, con i costumi di Graziella Pepe, le musiche di Franco Visioli, e le
luci di Simone De Angelis, Sonia Bergamasco, Vinicio Marchioni, Ludovico Fededegni, Paola Giannini, incarnano quindi una partitura ritmica che, puntigliosa, aderisce minuziosamente alla punteggiatura del testo, e aggiunge potenza alle parole di Albee.
«Per fare tutto questo ho voluto circondarmi di un cast non ovvio, non scontato, un cast che possa spiazzare e aggiungere potenza – afferma Latella – un cast che avesse già nei corpi degli attori un tradimento all’immaginario, un atto-attore contro il fattore molesto della civiltà, che Albee ha ben conosciuto, come ci sottolinea nella scelta del titolo».
Note di regia
Non posso non partire dal titolo per affrontare questo testo che ancora una volta mi riporta all’America e alla drammaturgia americana. Molti critici hanno detto che questo titolo è solo un gioco ironico, un rimando intellettualistico alle paure di vivere una vita priva di delusioni. Una canzoncina che la nostra protagonista dissemina per tutto il testo, che riprende la melodia per bambini, e non solo, “Who’s Afraid of the big bad Wolf?” ovvero: “Chi ha paura del lupo cattivo?”. La paura del lupo, quel lupo che fin da piccoli è fuori dalla porta pronto a sbranarci, pronto a punirci nel momento in cui non stiamo nelle regole che la società ci impone. Eppure, non posso credere che questa scelta, in un autore attento come Edward Albee, sia solo un vezzo intellettualistico, dal momento che per sostituire la parola “lupo” scomoda una delle figure intellettuali più importanti del novecento, Virginia Woolf.
Perché lo fa? Non può essere casuale per uno come lui, che fu adottato da piccolo da una famiglia di teatranti che non poteva avere figli, una famiglia talmente fuori dalle righe che lui aveva sempre sperato che quelli non fossero i suoi veri genitori. Infatti la scoperta della verità dell’adozione più che gettarlo in uno stato di depressione lo aiutò a crescere e a vivere meglio.
Virginia Woolf è un’autrice che crea un nuovo modo di narrare, un nuovo linguaggio. Una vera visionaria, una combattente instancabile per l’emancipazione femminile. Una donna che insegnò alle donne ad uccidere le loro madri, come per gli uomini Edipo ci insegnò a uccidere i nostri padri, o meglio un’idea di padre, come la Woolf uccise un’idea di madre, quella che vedeva nella donna “l’angelo del focolare”. Credo che tanto di tutto questo si trovi nel testo, la Woolf è presente nei due protagonisti che fanno da specchio alla giovane coppia scelta come sacrificio di questo violentissimo e disperato amore, questo: “jeu de massacre”. La Woolf è presente anche in una idea di narrazione che riguarda lo stesso Albee: “Ogni volta che entra la morte, bisogna inventare, mentire, ricostruire. La morte la puoi vincere solo con l’invenzione”. Ed è proprio quello che fa fare Albee ai suoi protagonisti, prende spunto da questa frase della Woolf e porta questa coppia, ormai morente, a inventare per ricrearsi, per restare in vita, a scegliere di inventare un figlio mai esistito, ed è spiazzante che lo faccia proprio lui che fu adottato. Bisogna scegliere di spiazzare la morte, di vincere la depressione, la paura, forse anche di anticiparla proprio come fece la grande Virginia Woolf.
Tutto accade in una notte, perché anche per Albee, come per la stessa Woolf, il tempo è circolare, non invecchia mai. Il tempo resta giovane. Nel tempo va cercata la sospensione, l’attimo, ed è per questo che la Woolf affermava che non si può scrivere a trama, bisogna scrivere a ritmo, l’attimo è nel ritmo, è una sospensione. Ed è strano che ancora un parallelismo mi porti a pensare a una non casualità del titolo: anche Albee è ossessionato dal ritmo, che incide con una scelta maniacale della punteggiatura, forse oltre al linguaggio la sua vera ricerca. Le cronache raccontano che quando dirigeva gli attori pretendeva un rispetto totale della punteggiatura che aveva scelto, un rispetto della partitura, e quindi del ritmo. Tutto ciò mi porta a una nuova avventura, un testo realistico, ma che diventa visionario per la potenza del linguaggio, per la maniacalità della punteggiatura e per la visionarietà, dovuta ai fumi dell’alcool e alle vertiginose risate che divorano e fagocitano i protagonisti di questo testo. Albee, nel rifuggire ogni sentimentalismo, applica una sua personale lente di ingrandimento al linguaggio che sente parlare intorno a sé, ne svela i meccanismi di ripetizione a volte surreali che portano a uno svuotamento di significato, ma come spesso accade in questo testo, parallelamente mostra come il linguaggio sia un’arma efferata per attaccare e ridurre a brandelli l’involucro in cui ciascuno di noi nasconde la propria personalità e le proprie debolezze. Per fare tutto questo ho voluto circondarmi di un cast non ovvio, non scontato, un cast che possa spiazzare e aggiungere potenza a quella che spesso viene sintetizzata come una notturna storia di sesso e alcool. Un cast che avesse già nei corpi degli attori un tradimento all’immaginario, un atto-attore contro il fattore molesto della civiltà, che Albee ha ben conosciuto, come ci sottolinea nella scelta del titolo. Chi ha paura di Virginia Woolf? Se c’è qualcuno alzi la mano.
Antonio Latella
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