Dopo aver aperto la stagione in grande stile con lo Schiaccianoci di Nureyev, il Corpo di Ballo Scaligero presenta un quartetto contemporaneo formato dalle creazioni di David Dawson, Nacho Duato, Philippe Kratz e Jirí Kylián. “Anima Animus” di David Dawson apre le danze.
Nuova produzione in prima assoluta in Italia, è stato creato nel 2018 per il San Francisco
Ballet sulle note del Concerto per violino n.1 di Ezio Bosso.
Il lavoro trae ispirazione dai coreografi cardine del XIX e XX secolo (Petipa, Balanchine e
Forsythe per nominarne alcuni) ma si spinge ben oltre, presentando un virtuosismo non
omogeneo ma che al contrario esalta la tecnica e le peculiarità di ogni singolo danzatore,
mettendone in scena la propria personalità artistica. Intento del coreografo, infatti, è quello
di lasciare che i ballerini ‘trovino quel che vogliono esprimere’ all’interno del suo lavoro.
Su una scena bianca e scintillante, quasi da far male agli occhi, spiccano 10 danzatori in body bianchi e neri che alternano a soli e passi a due di ampio respiro e incredibile bellezza. Il titolo rimanda alla distinzione di Carl Jung tra il lato maschile e femminile (animus è l’aspetto maschile della psiche femminile mentre anima quanto di femminile risiede nella psiche maschile), che viene però annullata in scena: la coreografia di Dawson, infatti, mette in discussione il tema dell’uguaglianza / omogeneità del movimento, celebrando quindi le infinite possibilità e potenzialità della danza.
Ottima prova per tutti i protagonisti.
Segue “Remanso” di Nacho Duato, sulle note dei “Valses poéticos” per pianoforte di Enrique
Granados – altra prima assoluta per il ballo scaligero.
‘Remanso in spagnolo significa un posto tranquillo in campagna dove ci si possa sedere e
riposare, come sulla riva di un fiume che invita a pensare’.
Queste le parole di Nacho Duato per descrivere il suo balletto in un atto, pura esplosione del semplice piacere di danzare. Da dietro una parete posizionata al centro del palcoscenico, tre ballerini – Roberto Bolle, Mattia Semperboni e Nicola Del Freo – emergono e si alternano sulla scena in una piacevole successione di assoli, duetti e terzetti di grande forza espressiva, dove il movimento si concatena perfettamente con la musica. Ed è proprio la musicalità quel che apprezziamo di più nella performance: la danza infatti fluisce dalla musica e anima i corpi senza sforzo, in un divenire fluido e spontaneo.
Un vero piacere per gli occhi.
Un’altra nuova produzione, commissionata in prima assoluta per il Teatro alla Scala, è
“Solitude sometimes” di Philippe Kratz, produzione che doveva già debuttare nella scorsa
stagione ma che è stata rimandata a causa della pandemia. Ispirazione per il coreografo è il
libro funerario di mitologia egizia Amduat, che ripercorre il viaggio del dio del sole Ra
nell’aldilà, a cui Kratz si avvicina per via della musica. La Scala infatti chiede al coreografo un titolo di danza contemporanea, e Kratz comincia a considerare i pezzi di Thom Yorke,
musicista del gruppo dei Radiohead; Pyramid song, in particolare, fu composta in seguito a
una visita di Yorke a una mostra sulla mitologia egizia. Da qui la connessione con l’Amduat,
che ispira un pezzo in danza ciclico ma che non ripercorre tanto il divenire del rito funerario
quanto celebra il trascorrere della vita, con i suoi picchi ed alti e bassi.
La coreografia scorre da destra a sinistra per visualizzare questo continuo fluire, ma viene
interrotta dalle molteplici variazioni dei 14 ballerini in scena, dove nessuno spicca in modo
particolare (richiamando la bidimensionalità delle raffigurazioni egizie) ma tutti vengono
valorizzati.
La serata culmina con il crescendo di intensità di “Bella Figura” di Jirì Kylian.
Un titolo in italiano per il pezzo del coreografo ceco, che risulta molto efficace per dare un
nome all’idea del mostrare la parte migliore e più bella di sé nella vita quotidiana come sulla scena, in riferimento all’obiettivo dei ballerini di mostrarsi al meglio in ogni
rappresentazione indipendentemente dal loro reale stato emotivo.
Bellezza quindi intesa semplicemente come contrasto alle difficoltà e alla bruttura del
quotidiano; bellezza celebrata dai corpi belli dei danzatori, belli non soltanto dal punto di
vista fisico ma perché animati da un movimento bello che si nutre del respiro della musica.
Le note di accompagnamento sono i brani sei – settecenteschi di Pergolesi, Vivaldi,
Alessandro Marcello, Giuseppe Torelli accostati al più contemporaneo Lukas Foss.
L’idea di contrasto emerge anche nei colori dei costumi – ampie gonne rosse sul dorso nudo
dei ballerini e delle ballerine. Colori usati per la prima volta da Kylian, in contrapposizione ai
soliti toni nudi delle sue coreografie.
“Bella Figura” è un pezzo unico, così come unico è lo stile di Kylian: sofisticato, sensuale,
elegante, egregiamente interpretato dal Corpo di Ballo.
Occasioni come queste fanno crescere non solo il Corpo di Ballo, impegnato in uno stile
diverso, ma il gusto critico ed estetico del pubblico stesso.
In conclusione, serata ben riuscita e decisamente apprezzata.