Fra i titoli più attesi della stagione 2022/2023, l’Aida di Giuseppe Verdi al Teatro dell’Opera di Roma si conferma anche uno dei titoli più amati che riempiono senza difficoltà il teatro replica dopo replica: che sia in versione kolossal o in versione intimista, l’Aida resta l’Aida.
La nuova produzione del Costanzi dell’opera verdiana ha unito all’eccellente direzione musicale di Michele Mariotti, un allestimento che porta l’inconfondibile firma di Davide Livermore, un bel cast di voci verdiane, la prestazione ottima nel coro contribuendo a uno spettacolo intimista, ma kolossal, un allestimento nel solco della tradizione, ma con un occhio attento alla contemporaneità. E non senza un approccio politico: per Mariotti l’Aida diventa atto di accusa di Verdi nell’accusare l’uomo e la sua incapacità di non sapere abbracciare la diversità, per ergersi come inno alla diversità.
Il maestro Michele Mariotti si misura con estrema eleganza con la partitura di Verdi, “capolavoro fra i capolavori, non sottovalutato, ma spesso frainteso”: per il direttore musicale del Teatro dell’Opera di Roma si tratta della prima vera e propria Aida con il pubblico, “un pozzo di meraviglie” sotto il profilo musicale che esalta l’aspetto intimo di questa opera, un vero e proprio dramma a tre. Mariotti approccia la partitura in modo rigoroso, ma moderno, con continuo e riuscito equilibrio fra le dinamiche più drammatiche o più dolci, i pianissimo il trionfo del secondo atto, ma anche le numerose sfaccettature che si alternano in piani sonori diversi. Di grande impatto anche il Coro diretto da Ciro Visco, nell’impeto delle voci maschili e nelle sfumature delle voci femminili.
L’allestimento di Livermore (dopo la Giovanna d’Arco di due anni fa) sembra quasi portare il segno del suo copyright: il regista, che cura anche i movimenti coreografici (non indimenticabili), è coadiuvato dalla sua squadra, Gianluca Falaschi ai costumi, Giò Forma per le scene, Antonio Castro per le luci e D-Wok per i video. Livermore parte da un approccio di carattere cinematografico spiegando di esserersi ispirato a Cabiria, primo kolossal italiano firmato da Giovanni Pastrone (1914): e tutto l’allestimento sembra trasudare cinema, a cominciare dalla scena minimal che evoca la sabbia scura. Al centro della scena, un grande parallelepipedo in ledwall che riproduce incessantemente immagini di ogni genere, dalle immagini guerresche, alle ambientazioni naturalistiche, dalle cascate d’oro ai giochi visivi, le immagini video scorrono incessantemente per riecheggiare, sempre a sostegno della partitura musicale, della storia, delle sfumature dei personaggi.
Ci sono anche le piramidi, riecheggiate ai lati della scena, per chiudersi su Radames e Aida nel toccante finale. Di foggia cinematografica anche i sofisticati costumi di Gianluca Falaschi, con tocchi eleganti anni venti, fra mantelli in oro abbagliante, gioielli e lunghi pepli, vistose piume segno di un evidente opulenza. Livermore pensa a questa Aida come alla storia d’amore di Aida e Radames, un uomo e una donna di due etnie diverse, che appartengono a fronti militari opposti enfatizzando anche l’approccio politico: tutti gli artisti in scena sono truccati, tanto gli etiopi quanto gli egizi contrariamente a quello che avviene di solito, perché tutti i personaggi, proprio come nella tragedia greca, spiega Livermore nel libretto di sala, diventano qualcos’altro per “affermare la forza del teatro e la sua peculiarità”.
L’allestimento di Livermore si rivela di taglio cinematografico nel rispetto della tradizione (ormai liberata da ogni approccio trionfalistico e storico), ma con occhio moderato anche alla contemporaneità in un ritrovato e convincente equilibrio che regala senso dello spettacolo, ma anche la dimensione intima dell’opera.
Il cast di voci verdiane ha visto il soprano bulgaro Krassimira Stoyanova trionfare nel ruolo di Aida intimista e sussurrata, per l’intensità del lirismo e la brillantezza della voce. Accanto a lei il mezzosoprano Ekaterina Semenchuk, superba Amneris che ha regalato impareggiabili sfumature vocali a un personaggio sfaccettato e complesso, potente, ma innamorata e sofferente. Il tenore statunitense Gregory Kunde (che ha sostituito Fabio Sartori) ha interpretato il ruolo di Radamès con voce salda e controllata, ma anche tutta la sicurezza di un consolidato artista di lunga data. Convince il resto del cast, Vladimir Stoyanov come Amonasro, Riccardo Zanellato come Ramfis. Veronica Marini nel ruolo della sacerdotessa, Giorgi Manoshvili il Re, Carlo Bosi nel ruolo del Messaggero.
Calorosi applausi per l’allestimento che piace, al cast, ma soprattutto alla meravigliosa direzione musicale di Michele Mariotti.
Fabiana Raponi