Elena Sofia Ricci e Gabriele Anagni su sesso, solitudine e “la dolce ala della giovinezza”
in scena al Teatro Quirino di Roma fino al 12 febbraio.
Tennessee Williams, pseudonimo del drammaturgo statunitense Thomas Lanier Williams, è un narratore che ama descrivere la superficie delle cose con minuzia di particolari, ma sa anche scendere nell’anima e nei conflitti individuali, come in questa opera teatrale, dove un groviglio di sentimenti avvolge le atmosfere di due outsider che muovono i loro passi ostentatamente, eppure non nascondendo debolezze caratteriali, ferite e paure.
Uno è Chance Wayne, un aspirante attore e gigolò professionista, che torna nella sua città natale alla ricerca della ragazza, simbolicamente chiamata Heavenly, che rappresenta la sua innocenza perduta. La compagna di Chance è una stella del cinema in declino, Alexandra Del Lago, la quale, in fuga dall’apparentemente disastroso fallimento del suo ultimo film, viaggia in incognito cercando rifugio nel sesso, nell’alcol e nella droga. Nel corso della sua permanenza in Florida, Chance non solo scopre che Heavenly è stata infettata in circostanze drammatiche da una malattia venerea, ma che suo padre, l’onnipotente Boss Finley, cerca di allontanarlo in ogni modo dalla città minacciando perfino la sua evirazione per espiare la colpa.
Elena Sofia Ricci è eccellente come Alexandra. La interpreta non come un mostro sacro di Sunset Boulevard, ma come una donna credibile che, con uno spirito acuto, mostra tutte le molteplici contraddizioni dell’industria del cinema. Non è semplice per le attrici interpretare attrici. È sempre un momento di ansia quando Irìna Arkadìna entra in scena ne “Il gabbiano” di Cechov. Eppure Alexandra trasmette la paura della solitudine, un capriccio di ferro, una fame per la consolazione del sesso e un’ironia tagliente. Informata da Chance che è sempre stato il ragazzo più bello della città, chiede seccamente “Quanto è grande questa città?”
Gabriele Anagni cattura abilmente non solo il narcisismo di questo gigolò egoista e parassita, ma anche la mancanza di calore umano e, al tempo stesso, il suo pathos avido di martirio in un modo che caratterizza molti degli eroi di Williams.
Ma non c’è nessuno nella commedia di Tennessee Williams che sfugga al trauma esistenziale dell’invecchiamento. L’ossessione dell’attore per la giovinezza risuona ben oltre la scena di apertura audacemente lunga, mentre si svegliano in una stanza d’albergo della Florida. Quando le persiane di legno chiaro del set di Pier Luigi Pizzi si aprono, incontriamo il Boss Finlay, disprezzato dalla sua amante (Chiara Degani) per l’impotenza sessuale e Heavenly (Valentina Martone), la cui promessa giovanile è stata rovinata da un’isterectomia.
In questo contesto di mediocrità, c’è qualcosa di terribilmente attraente nel narcisismo di Chance e nel crogiolarsi di ubriachezza di Alexandra sulle glorie passate. La loro negazione della realtà è quasi eroica.
La messinscena di Pier Luigi Pizzi, dove le luci di Pietro Sperduti e le musiche molto indovinate di Stefano Mainetti conferiscono ritmo al racconto, purtroppo interrotto nei lunghi cambi di scena a sipario chiuso, incornicia in suggestive coreografie ogni movimento dei protagonisti, i quali sono inseriti in una scenografia di prim’ordine, curata dallo stesso regista, troppo ampia perché possa essere accogliente nonostante i colori vivaci, a testimonianza dello smarrimento e della solitudine della condizione umana.
Roberta Daniele