Trovarsi a percorrere le stradine che gravitano intorno a piazza Navona, ricordarsi di farvi una sosta e godere di tante bellezze della Roma rinascimentale e inoltrarsi fino a varcare la soglia di un Palazzo cinquecentesco che mai immagineresti possa ospitare quelli che ora sono i locali del Teatro Arciliuto in piazza di Montevecchio. Volte a vela incrociate sorrette da delicate colonne in marmo pregiato di epoca romana. Un’atmosfera, insomma, che ci riporta alla vita centenaria che fu, densa della presenza di Raffaello che, tra il 1516 e il 1517, lavorò alle decorazioni della vicina chiesa di Santa Maria della Pace. Poi l’interno del teatro. Altro che “teatro”!
Veniamo subito pervasi ed accolti dalla sobria eleganza degli arredi del salotto musicale, poi, nel caveau sottostante, la piccola sala nata dal progetto artistico di Giovanni Samaritani. Ed eccoti entrare in scena Roberto Vaino, del quale ci colpiscono subito le fattezze in tono con la fisionomia del Rinascimento, dotato di un discreto naso, occhi che parlano ed un sorriso sornione ed è subito alchimia. Interpreta Edmund Kean, l’attore inglese dell’inizio dell’Ottocento, idolatrato dal pubblico e dalla critica che ne decretarono l’ascesa, con il debutto dal palco del Drury Lane come Shylock in “Il mercante di Venezia”, e poi il rovinoso declino artistico e umano.
Siamo di fronte a un “Edmund Kean Napoletano” liberamente tratto dal monologo firmato da Raymund Fitzsimons (che aveva scritto il testo su Kean pensando a Ben Kingsley), interpretato nel 1989 da Gigi Proietti, poi riproposto nel 2016, in occasione del quattrocentenario della morte del Bardo. Ed è lì che si vede l’interprete napoletano sostituire il mattatore, libero di dispiegare una prova d’attore che mescola sapientemente gli ingredienti della drammaturgia shakesperiana al racconto biografico di Kean, pur mantenendo un distacco di ironia e di leggerezza che sono il suo tratto stilistico.
Edmund Kean (1787-1833) nel suo camerino, prima della rappresentazione, beve e declama, racconta la sua esistenza di genio e sregolatezza perché ha sofferto per dieci anni la fame e poi ha incontrato il grande successo in uno scenario di relazioni passionali, di amicizie e inimicizie, violente fobie e fatali attrazioni, sordidi complotti e tenere alleanze. Vaino si cimenta con disinvoltura nei versi che danno vita ai grandi protagonisti shakespeariani, indossando un costume di scena ogni volta diverso: Amleto, Macbeth, Otello, Riccardo III, Shylock, Re Lear.
Non stiamo qui a descrivere l’incisività di una recitazione semplice e immediata, resa più autentica e credibile grazie alle inflessioni e ad alcune espressioni napoletane in una sorta di identificazione dell’attore (Vaino) con l’attore (Kean). La performance di Vaino, anche produttore e regista dello spettacolo (con la collaborazione di Chiara D’Anna), riesce a presentare, come si aspettava, un ritratto intimo e profondo di Kean il quale spazzò via anni di tradizione nella sua costante ricerca di realismo emotivo. Il poeta Samuel Taylor Coleridge ha osservato che guardarlo recitare era come aver sentito Shakespeare “sotto la luce dei fulmini”.
A Napoli i figli d’arte nascevano nei camerini e morivano sulla scena, allo stesso modo l’attore Edmund Kean, in un crescendo di nevrosi esasperata dall’abuso di alcol e dal libertinaggio, incontra la malattia che lo porterà, dopo la morte prematura di uno dei figli, a un tragico epilogo durante una esibizione di Otello.
Nel suggestivo spazio scenico quasi cinematografico che ingloba lo spettatore fin dietro le quinte, nonostante l’azione limitatissima in scena, viene fuori tutta l’energia del celebre attore inglese con un filo drammatico costantemente teso verso l’ossessione della perfezione. Le musiche originali sono del M° pianista, violinista e compositore Michele Biki Panitti, i costumi delle Sorelle Garofalo, le luci di Giovanni Samaritani.
Quanto basta per dimostrare che bastano pochi mezzi per confezionare una pièce efficace quando è consapevolmente costruita su una intensa interpretazione di un copione di elevata qualità letteraria.
Roberta Daniele