Lo spettacolo rappresenta la terza fase della trilogia portata in scena da Agnese Fallongo e Tiziano Caputo, dopo Letizia va alla guerra-la suora, la sposa e la puttana e …Fino alle stelle! – scalata in musica lungo lo stivale.
A differenza dei precedenti che erano canovacci di storie e canti, questo spettacolo racconta la vicenda di una famiglia con la struttura drammaturgica di una commedia che vira al giallo, seppure rappresentata in maniera bizzarra con i due attori che si trasformano nei vari protagonisti.
Sempre presente in scena è il narratore figlio della coppia, Giovanni Battista Mezzalira detto Petrusino (perché stava sempre in mezzo), che descrive l’antefatto e raccorda gli eventi e i passaggi del trascorrere del tempo attraverso trent’anni e tre generazioni.
Il bambino, insieme alla mamma Crocefissa Martire e al papà Santo con la sorella maggiore Pasqualina e la nonna Pitta dovettero una notte lasciare la città vecchia e trasferirsi nella città nuova, dove il padre intendeva trovare un lavoro che non lo schiavizzasse come faceva il padrone don Cataldo con i braccianti che lavoravano nelle sue proprietà, e realizzare l’agognato riscatto sociale.
Il motivo del trasferimento non viene specificato e già si capisce che i panni sporchi si lavano in casa, e in casa finalmente si potranno fare anche i fritti, che nella città vecchia erano prerogativa dei ricchi che potevano permettersi di consumare l’olio.
Petrusino racconta la vita grama, la perdita del padre, il conflitto con la sorella che viene tolta dalla scuola perché femmina nonostante sia molto promettente, per far studiare lui che è invece molto svogliato.
E intanto tabù e segreti vecchi e nuovi si addensano sulla famiglia, che il lavoro indefesso della madre e i tentativi di mediazione conditi di spadellate di fritti della nonna, non riescono a tenere unita.
Con la terza generazione si chiarirà l’arcano della fuga dal paese e si arriverà alla pacificazione, tra i componenti della famiglia e con tutti i paesani, con generosità e giustizia.
La scrittura di Agnese Fallongo e le musiche e le canzoni di Tiziano Caputo tessono una trama accattivante e coinvolgente, venata di malinconia e comicità. La narrazione è suddivisa in quadri: il prologo, la fuga, l’arrivo, la cucina della nonna, i buoni propositi del padre, le invettive della madre, la ribellione della sorella, l’abbandono, lo svelamento, la scelta, l’epilogo, tutti interpretati da Fallongo e Caputo con rapidissimi cambi di acconciatura e di costumi, trecce sciolte per la figlia e capelli raccolti per la madre, abbigliamento da contadino per il padre e foulard in testa e grembiule per la nonna. Appartato sulla scena, Petrusino si rivolge al pubblico soltanto per raccordare gli eventi nel corso del tempo, senza intervenire come personaggio attivo nell’azione, se non nella scena finale, dove sarà chiaro a tutti ciò che ciascuno credeva fosse un segreto ben custodito.
Una commedia moraleggiante con qualche elemento di suspense nella quale si potrebbe trovare un riflesso della propria storia familiare di riscatto, di condivisione, di aspirazione alla felicità: “Le creature mie non devono guardare in terra, ma devono guardare in cielo” sostiene Santo.
Agnese Fallongo inventa una lingua, dalla cadenza meridionale ma non riferibile a una regione, con la storia ambientata in una località astratta e in un tempo non definito. Tiziano Caputo la condisce con un personale talento per comporre le musiche e i testi dei canti che evocano quelli devozionali dei contadini che invocavano la protezione divina. Esilarante la sua interpretazione della nonna Pitta, pronta ad esaudire le voglie dei nipoti col prezioso olio che usa per gustosi fritti. Entrambi formidabili nel mutare cadenze, timbri e intonazioni e a curare i dettagli, tanto che il palcoscenico sembra popolato da una moltitudine di personaggi.
Li affianca Adriano Evangelisti, il figlio narratore Petrusino, defilato e tuttavia fondamentale nella dinamica della storia, condotta con mano leggera dal regista Raffaele Latagliata.
La scenografia in legno di Andrea Coppi muta creando le diverse ambientazioni. Sulla sinistra l’edicola votiva si trasforma nella cucina della nonna, a destra il carretto con cui i Mezzalira partono dal paese vecchio diventa la camera di Pasqualina nel paese nuovo. Anche i costumi di Daniele Gelsi, con piccole variazioni, definiscono i personaggi.
Agnese Fallongo afferma: “La mia è una trilogia degli ultimi e fonde tragedia e commedia. Il titolo della commedia nasce da un gioco linguistico che crea una fusione tra il celebre detto popolare ‘i panni sporchi si lavano a casa’ e il concetto di ‘frittura’ come spartiacque tra servo e padrone, tra chi produce l’olio e chi lo possiede, tra chi può friggere tutti i giorni e chi invece non ha niente da mangiare”.
Una coppia artistica che sorprende e conquista, sempre.
Tania Turnaturi