Ci sono spettacoli che sembrano estremamente semplici, ma dentro nascondono mille chiavi di lettura, mille sfaccettature. Ci sono spettacoli adatti a incantare bambini e adulti ma, se li guardi con uno sguardo più scrupoloso, possono nascondere concetti più complessi. Uno di questi è sicuramente lo Slava’s Snowshow, uno spettacolo che da decenni riempie le platee di tutto il mondo regalando sogni, fascino e tante risate. Anche quest’anno il Teatro Duse di Bologna ha ospitato per cinque serate, per un totale di sette repliche sold out, lo spettacolo circense più famoso che da trent’anni incanta le platee di tutto il mondo.
Slava Polunin, ideatore e curatore dello spettacolo, è partito da una piccola città della Russia fino ad arrivare a San Pietroburgo per seguire il suo grande talento di mimo e clown con l’intento di costruire illusioni e giochi per chi non fosse in grado di farlo da solo. Nel corso del tempo ha perfezionato sempre più il suo show fino a realizzare un piccolo gioiello di poetica, universale e senza tempo, costruito sul filo della narrazione preferita da Polunin, la tragicommedia che, come lui stesso dice in un’intervista: “È il genere teatrale che abbraccia completamente la vita”. Una miscela di gioia e tragedia in cui ognuno è libero di far vivere ogni sensazione, sia essa allegria, malinconia, solitudine, amore, proprio come le sente in quel momento. Il clown è una figura perfetta per fungere da cassa di risonanza delle emozioni perché è vicino alle persone, ma allo stesso tempo è metafisico.
Essendo uno spettacolo incentrato su tante scene diverse che si susseguono l’una all’altra, apparentemente non sembra che vi sia una trama, ma un’alternanza di momenti comici, e quelli non mancano davvero, a momenti più malinconici. Ogni scena però, è legata da un filo conduttore che rende Slava un personaggio sì comico, buffo ed esilarante ma al contempo anche profondamente triste e malinconico.
Se si prova a contestualizzare il personaggio, inserendolo nell’ambiente dal quale proviene il suo ideatore, si può provare a ricostruire una narrazione che intreccia tutte le scene: la neve ci catapulta nella terra di origine di Slava, la Russia, con il freddo e i lunghi inverni, rigidi e interminabili che la contraddistinguono. Slava, insieme agli altri clown, che sembrano proprio vestiti da barboni, potrebbero dare l’idea di una piccola comunità che cerca di sfuggire alle difficoltà quotidiane attraverso l’uso della fantasia e che hanno il coraggio, che sempre meno si ha, di sfruttare il lato fanciullesco per rendere bello ciò che a volte non lo è, per rendere magico e incantevole anche un posto ostile e avverso.
Simbolo si questa evasione dalla realtà potrebbe essere proprio quella barca costruita con un carrello e una scopa che viaggia sopra un tappeto di nuvole portando i protagonisti in un Altrove fatto di fantasia.
Anche la scena di Slava che si ubriaca e cade continuamente dalla sedia, seppur esilarante nella sua comicità, potrebbe essere la narrazione di una persona che ha bisogno di evadere, di una persona che soffre per qualche motivo e che cerca un rifugio in un luogo dove la realtà è ovattata, artefatta. Struggente invece, nella sua semplicità e bellezza, la scena di Slava che saluta, presumibilmente, la mamma alla stazione. Un cappotto su un appendiabiti e un cappello da inermi diventano, grazie alla poesia dell’immaginazione, un abbraccio di una mamma che lascia andare il proprio figlio, in un abbandono che è sofferenza ma anche dono, perché quella valigia carica di sogni non può rimanere chiusa in un armadio, deve viaggiare nel mondo e trovare il suo spazio.
La neve che predomina la scena dall’inizio è simbolo di purezza, di bellezza ma è anche qualcosa di pericoloso, di cui avere timore, com’è ben rappresentato quando i pannelli che adornano il palco, prima azzurri e ricoperti di stelle con uno spicchio di luna, vengono capovolti e diventano bianchi e candidi come la neve ma spaventosi perché, attraverso un gioco di luci e ombre sembra che generino dei mostri che fanno paura e quella neve così candida appare allo stesso minacciosa.
Il coinvolgimento dello spettatore è totale e sensoriale. Spesso in platea si susseguono momenti in cui il pubblico diventa protagonista. S’inizia con la ragnatela gigante che viene fatta scivolare sulle mani, per passare al momento in cui i clown irrompono in platea spruzzando acqua e camminando sullo schienale delle poltrone facendosi aiutare dagli spettatori. Senza tralasciare la neve, grande protagonista che a più riprese invade la platea fino al turbine di vento e neve in chiusura. Sul finale inoltre, le gigantesche palle lanciate in platea creano stupore e ilarità in tutti gli spettatori che si apprestano a farle rimbalzare per tutto il teatro. Qualunque sia l’età non si può non rimanere catturati e lasciarsi trasportare dal gioco che diventa inevitabile e bellissimo.
Uno spettacolo sì ironico e divertente ma soprattutto uno spettacolo che parla di cose importanti per la nostra anima: il sogno, la solitudine, la ricerca della felicità, tutte questioni in cui ognuno si sente coinvolto. Nello spettacolo c’è la risposta di come raggiungere la felicità, ossia lasciarsi trasportare dal nostro bambino interiore che bussa sempre alla porta e poco si ascolta, sentire quali sono i suoi desideri e seguirli. Grazie Slava per aver riportato alla luce il bambino che è in noi e per averci fatto giocare insieme con te in un piccolo ritaglio della vita che magari ci insegnerà a tirare fuori quella parte anche fuori dal teatro.
Amelia Di Pietro