“Nella diversità io mi sono moltiplicato”. È una delle frasi iconiche di Michelangelo Pistoletto, protagonista dell’Arte Povera e maestro di ineguagliabile ricerca personale, che possiamo leggere su uno dei muri interni della mostra. L’occasione sono i 90 anni dell’artista (li compirà il 25 giugno), che il Chiostro del Bramante celebra con l’esposizione antologica “Infinity. L’arte contemporanea senza limiti”, visibile a Roma fino al 15 ottobre prossimo.
All’interno del gioiello rinascimentale, creazione dell’architetto Donato Bramante e capolavoro di rigorosa eleganza (in via Arco della Pace 5), trovano spazio cinquanta opere e quattro grandi installazioni site specific. Un racconto artistico e spirituale, che inizia nei primi anni sessanta per arrivare fino a oggi, plasticamente rappresentativo dell’intera produzione di Pistoletto, disposto non in maniera cronologica ma per suggestioni ed echi segreti.
“L’intento è restituire la complessità di questo artista, che per essere abbracciato nella sua interezza necessita di una mostra dall’aspetto di collettiva”, ha spiegato il curatore Danilo Eccher: “Tutta la sua vita è fondata sulla dichiarazione di precarietà dell’individuo, non sulla ricerca di certezze o di una limpida individualità. Ho voluto chiarire anche questo, con lo spirito attuato dal Duchamp curatore di mostre surrealiste negli anni Trenta”.
Non è davvero possibile citare tutte le opere: ne sceglieremo quindi soltanto alcune, lasciando ai visitatori il piacere della scoperta delle altre. Iniziamo dal pilastro della sua energia creativa e della sua riflessione teorica: i “Quadri specchianti”. Presentati per la prima volta in una personale del 1963, ebbero un immediato successo internazionale, portando l’artista a essere invitato a esporre nelle gallerie e nei musei di Europa e Stati Uniti. “Infinity” ci mostra sette opere, da “Solidarity” del 2007 alla recentissima “Ragazza che fotografa un Qr Code” del 2021.
Nei “Quadri specchianti” troviamo i temi fondanti della ricerca di Pistoletto: l’inclusione dello spettatore nell’opera, la rappresentazione delle dualità (qui, in particolare, tra statico e dinamico), la comunicazione tra l’immagine fotografica serigrafata sulla lastra di acciaio inox e il mondo che viene riflesso dalla superficie a specchio.
“Sono arrivato con l’autoritratto al quadro specchiante partendo dall’Io – spiega l’artista – ma non sono più l’unico autore dell’immagine: anche il visitatore diventa co-autore dell’immagine”.
Manifesto dell’Arte Povera è la “Venere degli stracci” del 1967. Una statua classica, riproduzione in cemento e smalto della “Venere con mela” dello scultore d’inizio Ottocento Bertel Thorvaldsen, è accostata di spalle a un grande cumulo di cenci e abiti dismessi, ammucchiati alla rinfusa sul pavimento. L’installazione, di potente forza espressiva, ci interroga sul precario equilibrio di innumerevoli dualità (classico e contemporaneo, vita e arte, eterno e caduco, armonico e informe), ponendo anche l’accento sul tema dei rifiuti e del consumismo che già allora si annunciava imperante.
Dalle primissime opere passiamo al “Terzo paradiso”, ultima intensa riflessione artistica e filosofica di Pistoletto. Nell’installazione una moltitudine di coperchi e piatti di vecchie batterie (che l’artista invita a suonare liberamente) sono disposti in tre circoli in sequenza, appunto il grafema del “Terzo paradiso”. Tra i due cerchi del segno matematico dell’infinito, che Pistoletto individua come la dualità tra natura e mondo artificiale, l’artista ne inserisce un terzo maggiore al centro. “Il terzo elemento è quello che unisce e crea l’armonia”, dice l’artista, indicando nell’unione tra gli opposti e nel raggiungimento dell’equilibrio la strada per un nuovo e umano ordine sociale.
Marco Togna