L’Opera di Francoforte consegna a Claus Guth la nuova produzione di Elektra e il regista tedesco dà una lettura dell’atto unico di Richard Strauss, prima tappa della collaborazione con Hugo von Hofmannsthal, di essenziale eleganza e centrata sulla interpretazione psicologica del dramma.
Un ciclo di violenza e di sangue ha attraversato la reggia degli Atridi a Micene. Agamennone sacrifica la figlia Ifigenia per ottenere venti favorevoli per la flotta greca diretta a Troia. Tornato vittorioso dalla guerra, Agamennone è assassinato dalla moglie Clitennestra e dal suo amante Egisto. Anni dopo la figlia Elettra è ossessionata da un unico pensiero: la vendetta. Elettra è tenuta prigioniera nella reggia, insieme alla sorella Chrysothemis, che invece non desidera altro che una vita ordinaria.
Il fratello Oreste è stato esiliato fin da bambino ed Elettra attende con ansia il suo ritorno. Finché due sconosciuti portano la notizia della morte accidentale di Oreste. Elettra cerca allora di convincere la sorella a compiere insieme la vendetta, uccidendo la madre ed Egisto. Ma chi sono i due estranei? Che cosa è reale, che cosa sta succedendo solo nella sua testa? Si crea un’atmosfera onirica in cui è impossibile distinguere esattamente le allucinazioni che perseguitano Elettra dagli eventi reali con cui si confronta. Oreste, il fratello tanto desiderato, è un'immagine? E il duplice assassinio finale avviene davvero o è una proiezione della sua mente allucinata? È qui il fulcro
drammatico dello spettacolo creato da Claus Guth: nell’allestimento scenico di Katrin Lea Tag, improntato a grande rigore estetico, si assiste al dramma interiore di una mente posseduta dalla sete di vendetta. Un corridoio rivestito da una lunga tenda plissettata ha preso il posto della reggia di Micene. Porte che affacciano sul nulla e luci di emergenza. Su questo fondo sfilano fantasmi.
Vaneggiamenti. Incubi. Frammenti di memoria. Passa lo spettro di Agamennone che rincorre Ifigenia brandendo un pugnale. Fantasmi di bambini percorrono la scena. Uno spettacolo radicale, tutto vissuto nella mente dei personaggi. Da notare che durante tutta la rappresentazione non scorre una goccia di sangue. A tratti sembra di assistere a uno studio clinico. Mentre questo psicodramma si sviluppa la musica di Strauss tocca i tasti estremi della sensibilità e della nevrosi, si mescola perfettamente con l’azione in scena, accentua la recitazione, l’espressione e i gesti dei protagonisti.
A tratti viene da pensare che dopo che Wagner ha raggiunto il confine ultimo della scrittura lirica drammatica, Strauss lo superi e non ci possa essere nulla oltre Elettra. Sebastian Weigle, alla sua ultima stagione come Generalmusikdirektor, dirige la foltissima (più di cento elementi in buca) Frankfurter Opern- und Museumsorchester ricreando le suggestioni evocative dello spartito di Strauss ricco di colori e di armonie audaci. Dopo quasi due ore di gran tensione emotiva, il sipario finale è quasi liberatorio.
Per questa nuova produzione l’Opera di Francoforte schiera un cast di gran pregio, con al centro un trio di primedonne (accudite per tutta la recita da un manipolo di eleganti e occasionalmente irriguardose governanti). Debutto fulminante di Aile Asszonyi nei panni della protagonista.
Un’interpretazione del crescente sconvolgimento della mente di Elettra curata fin nella mimica dei gesti e dei tic minimi. Il soprano estone domina il ruolo lungo e impervio con mezzi vocali imponenti per potenza e intensità. Eccellente per voce e azione teatrale anche la Chrysothemis di Jennifer Holloway, perfetto soprano straussiano, che restituisce gli accenti accorati della sorella che vorrebbe solo un po’ di normalità, in contrasto con l’implacabile Elettra. La Clitemnestra di Susan Bullock (che all’opera di Francoforte era stata Elektra nel 2004) è una dominatrice sul viale del tramonto, anche lei tormentata da incubi che non la fanno dormire. Vocalità sicura da donna forte, il suo confronto con la figlia Elettra regala attimi di vera suspense. In questo universo psicologicamente sofisticato gli
uomini sono solo un contorno. Kihwan Sim è un tenebroso Oreste dalla voce profonda e dal gesto ieratico. L’Egisto di Peter Marsch è un fatuo uomo di potere, nemmeno consapevole del destino che lo aspetta.
Lunghe e meritate ovazioni salutano alla fine tutti i protagonisti di questa eccellente serata
straussiana.