Kamin Mohammadi è una giornalista e scrittrice iraniana. Esiliata, fugge dall’Iran all’età di nove anni, assieme alla famiglia e si rifugia in Inghilterra. Tra le sue opere, ricordiamo Mille farfalle nel sole, in cui racconta:
“Non capivo fino in fondo quello che stava accadendo mentre salivo sull’aereo che avrebbe portato me, mia sorella e mia madre fuori dall’Iran, forse per sempre. Era il 1979 e io avevo nove anni. Ero disperata e arrabbiata perché nei preparativi della partenza i miei si erano sbarazzati di ogni cosa, compreso il mio amato agnello Baboo. Ma mia madre sapeva tutto, scappavamo per salvarci la vita e a ogni passo che la portava via provava un dolore mai provato prima. Avevamo detto addio alle persone a cui volevamo bene e con cui ero cresciuta, alla cucina di casa profumata di zafferano ed erbe e di frutta dolce. Mi sembrava solo ieri che la mia vita scorreva felice tra libri e cioccolata, tra la scuola e i giochi e in breve tutto era diventato cupo. La paura faceva parlare i grandi a mezza voce, li faceva arrabbiare per niente, tenere le finestre chiuse e mettere il velo alle donne. Qualcuno spariva, e presto sarebbe toccato anche a noi. A Londra arrivammo da rifugiate, mio padre sarebbe arrivato dopo. L’Inghilterra ci accolse e io abbandonai le mie radici. Poi un giorno la voce dei ricordi mi ha chiamato e ho trovato la strada di casa.”
Se, oggi, il termine religione, da religio, “legare”, ha finito per essere associato, più che a un senso di comunità, ad uno di contenimento e di restrizione della libertà, è necessario riappropriarci dei suoi alti valori umani e iniziare col preservare la sacralità della fede dall’orrendo abuso che ne hanno fatto tanti vessilli insanguinati. Di questo e del ruolo delle donne, nella difficile fase storica contemporanea, abbiamo riflettuto con la nota intellettuale, esule dalla sua terra d’origine.
Kamin Mohammadi, anzitutto grazie per averci concesso questa intervista, nel vivo di uno dei momenti più travagliati e dolorosi per la popolazione del suo paese natale, l’Iran. Sentiamo il dovere di non lasciare che l’onda mediatica del sensazionalismo attraversi e dimentichi i fatti terribili e la valorosa, eroica resistenza del popolo iraniano, in questo importante momento storico.
Qual è, dunque, adesso, la situazione nel paese?
Ad ora, non ci sono più tante proteste di piazza, perché c’è molta repressione; hanno ucciso molte persone e arrestate a migliaia. Ma le cifre non possono essere confermate e si sospettano essere molto più alte di quanto sappiamo. Ci sono state diverse esecuzioni di ragazzi molto giovani, accusati sommariamente, senza reali prove di reati a loro carico. Tutto avviene in modo veloce e illegale. Ai genitori di questi prigionieri viene detto che saranno liberati e poi viene, invece, restituito un cadavere. Molti sono torturati e le persone hanno paura, ma la protesta non è finita. Si è spostata su altri fronti.
Le grandi religioni hanno sempre predicato principi di alto valore umano, di pace e fratellanza; ma hanno avuto anche uno storico ruolo normativo, che ha profondamente plasmato le società. Interpretazioni, spesso strumentali, dei dogmi religiosi hanno prodotto drammatiche conseguenze, sanguinosi conflitti, restrizioni della libertà. Ma quale rapporto c’è, oggi, tra politica e religione in Iran?
Voglio dire che queste proteste non sono contro la religione islamica. Ma la pratica religiosa del regime non è giusta, perché viene interpretata con leggi molto restrittive. In realtà la religione islamica è una religione di pace. Quindi, uccidere nel nome della religione è sbagliato. L’attuale interpretazione della religione islamica è basata su Westoxification, un libro pubblicato intorno agli anni sessanta, settanta, che raccontava l’influenza eccessiva dell’occidente sulla cultura islamica, ma in una veste critica, certamente di analisi che voleva denunciare la colonizzazione effettivamente subita, in parte, con valide ragioni. Ma il testo è ancora un punto di riferimento in Iran, con risvolti repressivi che vogliono epurare qualsiasi influenza occidentale dal paese. In passato, in Iran, la tradizione conviveva con l’influenza occidentale, senza creare queste tensioni; negli anni settanta, infatti, eravamo molto moderni, ma senza perdere le nostre tradizioni, senza che ci venisse imposto di essere in un modo o nell’altro, che è davvero ridicolo. Anche se mia madre portava la minigonna ed eravamo liberi, nelle foto sembrava quasi di essere a Roma, andavamo comunque alla Moschea per le feste. L’errore è pretendere una società completamente islamica e con la violenza. Da nessuna parte viene detto che va ucciso chi non concorda con te.
L’Iran era l’Iran ed è stato cambiato il nome, in Repubblica islamica dell’Iran. Il problema è questo. Avevamo una monarchia e oggi siamo una repubblica, ma islamica. Non c’è separazione tra la politica e la religione.
A soli nove anni è dovuta fuggire dal suo paese di origine. Questa esperienza ha contribuito sicuramente a motivare il suo impegno attivo sulla questione iraniana. Ma chi è oggi Kamin Mohammadi, da cittadina del mondo?
Sono un’umana di oggi. Sono nata in Iran, sono in parte persiana e in parte curda e sono cresciuta in Inghilterra, quindi, mi sento anche inglese. Sono in Italia da quindici anni e ho una parte italiana. Non è importante cosa dice il mio passaporto. La questione dei confini mi sembra ridicola. Siamo tutti umani e questa è la terra, il nostro mondo e dove siamo. Ridicolo dire non puoi venire qui, perché sei nato lì. Si tratta di una grandissima ingiustizia. Kamin di oggi è, quindi, quello che siamo tutti: un misto di culture e i pezzi raccolti da ogni cultura. Ogni pezzo è parte di me. Separare tutto mi sembra impossibile. Non c’è giustizia. In Iran la gente sta morendo perché vuol far vedere un po’di capelli, invece gli amici del regime vivono nel mondo del lusso, in occidente, pubblicizzando una vita di divertimento, feste, medicina plastica e vestono tutti senza nessuna censura. Questo avviene mentre in Iran la gente soffre e non può vestire senza velo, in una economia che peggiora sempre più, dove oramai i soldi non valgono nulla e c’è molta povertà nella popolazione. Ma, chi è amico del regime, fa quello che vuole e questa è una grandissima ingiustizia.
Quale pensa che sarà il futuro prossimo dell’Iran?
Ancora non ho perso la speranza; infatti, nel mio libro, pubblicato anche in Italia, Mille farfalle nel sole, c’è un passaggio, che ho scritto dodici anni fa, che parla proprio di questo; verso la fine del volume ho parlato del velo come di qualcosa che può concedere, alle donne iraniane, un po’ di spazio per pensare e probabilmente prepararsi da protagoniste ad un futuro di riconquista della libertà.
Sta accadendo proprio questo, anche se la strada è lunga. Sarà durissima e molto difficile. La rivoluzione non finisce dopo due mesi in piazza. Non funziona così. Io ho vissuto la rivoluzione e non la auguro a nessuno, perché non è una bella cosa. In occidente questa parola viene usata a volte in modo improprio perché non si vive, attualmente, niente del genere. In realtà è qualcosa di terribile, in cui tutto crolla e avrà bisogno di molto tempo per attuarsi. Non so come sarà, perché questo regime ha tanta forza e governa tutti i settori del paese. Non so come si può sradicarlo, però ho speranza nei giovani e nelle nostre donne.
Come la religione, anche la donna ha spesso assunto, nella storia dell’umanità, il ruolo di simbolo, di strumento. Crede che riuscirà, un giorno, a ricoprire, invece, il ruolo di solo essere umano che evidentemente le spetta?
Spero di sì. In Iran è visibile in modo molto chiaro la repressione della donna. Ma è l’esasperazione di quello che vive la donna in genere, anche in occidente. Guarda cosa stanno subendo le donne anche qui, quando negli anni settanta prendevano parte a movimenti di emancipazione molto forti. Cosa è successo? Quanta violenza e abusi ci sono? Spero che potremo uscire da tutto questo. Stiamo perdendo nuovamente i nostri diritti e dobbiamo essere attivi con molta attenzione, perché ci sono forme di femminismo simili a forme di patriarcato. Quindi dobbiamo tutti, non solo le donne, riconosce l’importanza dell’educazione dei nostri figli. Gli uomini non debbono sopportare, come le donne, questa situazione.
In Iran, sono anche uomini che manifestano in strada, per le donne iraniane. Ci sono uomini, adesso, che portano il velo! Perché è ridicolo forzare le donne a indossarlo. Allora lo indossano anche gli uomini. Associazioni di professionisti imponevano il velo ben indossato sul lavoro e allora gli uomini lo hanno indossato per manifestare compatti. La risposta è questa. La parità è volere, donne e uomini, la stessa cosa. Per noi essere in parità non deve essere mancanza di parità per gli altri. Anzi. La parità deve essere desiderata anche dagli uomini.
Grazie.
Ines Arsì